Le api, la macchia mediterranea sarda, il miele. Ne parlo nell'articolo di oggi per il Gran Tour della Sardegna di Aifb. Il miele, amato fin dall'antichità, è utilizzato per alcuni meravigliosi dolci, ma ha anche proprietà terapeutiche.
In particolare quello di corbezzolo, il "miele amaro" di Virgilio, di Orazio, di Columella e di Salvatore Cambosu.
Leggete.
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Ecco l'articolo:
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Ecco l'articolo:
Varietà di mieli sardi - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Il miele in Sardegna è dolce o amaro? Apicoltura, essenze mediterranee e miele di corbezzolo
La Sardegna è una terra fiorita: le primavere sarde sono
stupefacenti e ogni anno regalano spettacoli entusiasmanti e sempre
nuovi. La particolare esuberanza della biodiversità vegetale sarda (ne
abbiamo già parlato in un precedente articolo), favorita dal clima mediterraneo, offre bellezza e nutrimento non solo per noi, ma anche e soprattutto per le api. Il prodotto principale del loro incessante lavoro, il miele, è ricercato e consumato dall’uomo fin da tempi remotissimi.
Del miele sardo – e delle sue particolari note amare – parlano Orazio e il contemporaneo Virgilio, entrambi poeti romani del I secolo a.C., ma la grande diffusione dell’apicoltura fu caratteristica del Medioevo; in particolare nell’ambito dei monasteri, dove si curavano gli ortus de abis. Il miele è citato in Sardegna nei condaghes (raccolte di documenti amministrativi) come quello di Santa Maria di Bonarcado (Oristano), dove, in alcuni passaggi, si parla di apiaresos, indubbiamente gli apicoltori. Più tardi, nel XVII secolo, diversi sono i documenti redatti da viaggiatori e commercianti spagnoli che parlano sia di miele, sia dei molti dolci che le abili mani delle donne sarde ne sapevano ricavare.
A quei tempi l’apicoltura prevedeva l’uso del casiddu, ovvero un bugno, un’arnia rustica costituita da un grande cilindro ricavato da un lembo di corteccia di sughero chiuso con chiodi di legno o cucito con giunchi, che veniva posizionato sull’albero dove le api erano solite nidificare, fino a che non ne erano attratte e iniziavano a colonizzarlo. Quando la migrazione della famiglia era completa, il bugno veniva sistemato in un luogo più controllabile; in seguito, per estrarre il miele, il cilindro doveva, necessariamente, essere disfatto. Solo nell’Ottocento furono introdotte le arnie a telaini ancor oggi in uso, ma in alcune zone l’apicoltura tradizionale con i bugni era praticata fino a pochi decenni fa.
Oggi in tutta la Sardegna si producono (a scopi commerciali) circa
15mila quintali all’anno di miele di qualità elevata e di varie
essenze, tutte spontanee, come eucalipto, agrumi, rosmarino, erica,
cisto, cardo, asfodelo, sulla, castagno, mirto, timo, lavanda,
trifoglio, corbezzolo. Tra questi, solo il miele di rosmarino è
classificato come Pat (Prodotto Tradizionale della Sardegna) e deve
provenire da api che abbiano pascolato esclusivamente in febbraio e
marzo in zone di vegetazione spontanea non contaminate da pesticidi o
altre sostanze chimiche. La smielatura deve avvenire meccanicamente
tramite centrifuga; il confezionamento dev’essere manuale in vasetti di
piccolo formato, senza alcun trattamento termico.
Ma è il miele di corbezzolo a esser caro, più di tutti, al cuore dei sardi. Il miele amaro. Il miele amaro divenuto persino un simbolo, un modo di identificarsi dopo la pubblicazione dell’opera di Salvatore Cambosu (1895-1962) intitolata Miele amaro, che non è romanzo e nemmeno un saggio, ma una raccolta di materiale storico, etnologico e letterario sulla Sardegna molto apprezzata dagli intellettuali del tempo, che la definirono un “catalogo dell’identità sarda”.
Fiorisce di campanelle di cera nelle macchie il corbezzolo carico di frutti maturi di un anno fa, e tu mangiane uno solo per lasciarli alle api che ti daranno il miele amaro, che è tanto raro, e ci ha dato un nome al mondo, come diceva fra Raimondo del convento di Bonorva…
Il miele di corbezzolo si produce in tutta la Sardegna, anche se la zona dove si concentra il maggior numero di produttori è la Gallura
(nord-est dell’isola). La produzione è tardiva, ovvero la raccolta del
nettare avviene dal tardo autunno fino a febbraio, ed è grandemente
condizionata dalle condizioni meteorologiche; non sono rarissimi gli
anni in cui il miele di corbezzolo è praticamente introvabile a causa
della produzione esigua. Il corbezzolo (Arbutus unedo, della
famiglia delle ericacee) è poi una pianta selvatica, che cresce in
grande quantità, ma spesso mescolata ad altre essenze e quindi non
sempre facile da raggiungere per le api. Fino agli anni Ottanta del
secolo scorso il miele di corbezzolo non veniva prodotto in modo
selettivo e, tantomeno, veniva commercializzato. Columella, agronomo
romano del I secolo d.C., nel suo trattato De Rustica lo definisce il peggiore miele in assoluto
e molti apicoltori gli hanno dato ragione per secoli, decidendo persino
di disfarsene, o di usarlo per l’alimentazione degli animali. Oggi,
invece, compresone il valore, è diventato prezioso. È una rarità molto richiesta, utilizzata anche a scopo terapeutico.
Il miele di corbezzolo è color ambra allo stato liquido, ma
cristallizza in fretta e allora diventa nocciola chiaro, con sfumature
biancogrigie. Come tutti i mieli è considerato un superfood
perché nella sua composizione rientrano carboidrati, proteine e
vitamine, flavonoidi, polifenoli e molecole antiossidanti; ma il miele
di corbezzolo ha in particolare proprietà antisettiche,
antiinfiammatorie, antiasmatiche e antinfluenzali ed è indicato per
lenire bronchiti e febbri. L’odore e il sapore sono davvero particolari, molto intensi e persistenti in bocca, con note evidentemente amare e persino astringenti. Insomma: può non piacere.
Il suo uso in cucina può essere molto interessante: in abbinamento con il formaggio pecorino o caprino, stagionato o più fresco ma sciolto al calore del fuoco; sulle seadas o nella preparazione del torrone con le noci; ma anche con la carne di capra arrosto o sulla cotenna del maialetto per accentuarne la doratura e la croccantezza; con il lardo, o semplicemente su una fetta di pane civraxiu appena riscaldata vicino al caminetto.
Bibliografia e sitografia:
Miele amaro, Salvatore Cambosu, Ilisso, Nuoro
Piante medicinali in Sardegna, Enrica Campanini, Ilisso, Nuoro 2009
Sardegna agricoltura – produzioni vegetali; Sardegna Agricoltura – ambiente e territorio;
Sardegna Agricoltura – prodotti tipici
Il miele: da Aristeo agli ortus de abis ai giorni nostri
La domesticazione delle famiglie di api nell’area del Mediterraneo risale a diversi millenni fa, ma la raccolta del miele delle api selvatiche era praticata certamente anche prima. È nota la leggenda di Aristeo, un eroe vagabondo, il quale portava con sé le conoscenze tecniche per la lavorazione del latte, la coltivazione di ulivo e vite e per l’apicoltura e che sarebbe passato anche dalla Sardegna rendendola terra di pastori, di coltivatori e… di apicoltori. Si sarebbe fermato in una località nei pressi di Oliena (Nuoro), che, non per nulla, mantiene il toponimo Vidda ’e su medde (paese del miele).Del miele sardo – e delle sue particolari note amare – parlano Orazio e il contemporaneo Virgilio, entrambi poeti romani del I secolo a.C., ma la grande diffusione dell’apicoltura fu caratteristica del Medioevo; in particolare nell’ambito dei monasteri, dove si curavano gli ortus de abis. Il miele è citato in Sardegna nei condaghes (raccolte di documenti amministrativi) come quello di Santa Maria di Bonarcado (Oristano), dove, in alcuni passaggi, si parla di apiaresos, indubbiamente gli apicoltori. Più tardi, nel XVII secolo, diversi sono i documenti redatti da viaggiatori e commercianti spagnoli che parlano sia di miele, sia dei molti dolci che le abili mani delle donne sarde ne sapevano ricavare.
A quei tempi l’apicoltura prevedeva l’uso del casiddu, ovvero un bugno, un’arnia rustica costituita da un grande cilindro ricavato da un lembo di corteccia di sughero chiuso con chiodi di legno o cucito con giunchi, che veniva posizionato sull’albero dove le api erano solite nidificare, fino a che non ne erano attratte e iniziavano a colonizzarlo. Quando la migrazione della famiglia era completa, il bugno veniva sistemato in un luogo più controllabile; in seguito, per estrarre il miele, il cilindro doveva, necessariamente, essere disfatto. Solo nell’Ottocento furono introdotte le arnie a telaini ancor oggi in uso, ma in alcune zone l’apicoltura tradizionale con i bugni era praticata fino a pochi decenni fa.
Pane sardo e miele - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Il miele in Sardegna: legami strettissimi e fiori di corbezzolo
Il miele in generale è così amato e così legato ai sardi e alla loro storia, che molti sono i cognomi diffusi in tutta l’isola che ricordano il miele e le api: Medde, Mele, Melis, Abe, Melinu… E innumerevoli sono gli usi che se ne fanno nella medicina popolare, nella cosmesi, nella cucina in generale e nella preparazione dei dolci in particolare. Dalla semplice foglia di lattuga fresca e croccante con un po’ di miele colato sopra, alla seada, il diffusissimo dolce di pasta con lo strutto, ripieno di formaggio, fritto e ricoperto di miele; dall’aranzada, fatta di scorze di arancia confettate con il miele, ai gattò con le mandorle, al torrone.Ma è il miele di corbezzolo a esser caro, più di tutti, al cuore dei sardi. Il miele amaro. Il miele amaro divenuto persino un simbolo, un modo di identificarsi dopo la pubblicazione dell’opera di Salvatore Cambosu (1895-1962) intitolata Miele amaro, che non è romanzo e nemmeno un saggio, ma una raccolta di materiale storico, etnologico e letterario sulla Sardegna molto apprezzata dagli intellettuali del tempo, che la definirono un “catalogo dell’identità sarda”.
Fiorisce di campanelle di cera nelle macchie il corbezzolo carico di frutti maturi di un anno fa, e tu mangiane uno solo per lasciarli alle api che ti daranno il miele amaro, che è tanto raro, e ci ha dato un nome al mondo, come diceva fra Raimondo del convento di Bonorva…
Corbezzolo carico di frutti - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Miele di corbezzolo- Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Il suo uso in cucina può essere molto interessante: in abbinamento con il formaggio pecorino o caprino, stagionato o più fresco ma sciolto al calore del fuoco; sulle seadas o nella preparazione del torrone con le noci; ma anche con la carne di capra arrosto o sulla cotenna del maialetto per accentuarne la doratura e la croccantezza; con il lardo, o semplicemente su una fetta di pane civraxiu appena riscaldata vicino al caminetto.
Bibliografia e sitografia:
Miele amaro, Salvatore Cambosu, Ilisso, Nuoro
Piante medicinali in Sardegna, Enrica Campanini, Ilisso, Nuoro 2009
Sardegna agricoltura – produzioni vegetali; Sardegna Agricoltura – ambiente e territorio;
Sardegna Agricoltura – prodotti tipici
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