Pane carasau - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Per il Gran Tour della Sardegna di Aifb oggi vi porto al forno.
Parlo di pane carasau, del perché è così e del come si fa; di come appare nell'arte; di come è ancor oggi espressione dell'anima sarda più vera.
Leggete.
********************************************
Ecco l'articolo:
Gran Tour d’Italia. la Sardegna. Carasau: un pane conosciuto in tutto il mondo
Il pane carasau è forse il tipo di pane tradizionale
sardo più conosciuto al di fuori della Sardegna. Poiché è facile da
confezionare e trasportare e si conserva a lungo, si può trovare in
molti negozi, anche della grande distribuzione, un po’ ovunque nel
mondo. Conoscere meglio la sua storia e la tecnica di lavorazione
tradizionale è però un’esperienza affascinante che si può fare solo
sull’isola, davanti a un forno a legna.
Il pane carasau è “perfetto” con la sua grande forma rotonda, sottile, croccante; è disponibile a farsi manipolare per molte ricette e nasconde bene il lungo lavoro artigianale che serve per ottenerlo. Fino agli anni ’40 del XX secolo era probabilmente il pane più diffuso nelle zone centrali dell’isola. Si cuoceva in ogni paese – quasi sempre nel forno comune – e serviva da provvista per la casa; ma veniva anche piegato in quattro quando era ancora caldo e riposto in sas tascheddas (le bisacce) per diventare “pane da viaggio” per gli uomini che stavano a lungo lontani da casa con le greggi.
Prima di infornare, la donna addetta al forno lo ripulisce con un fascio di erbe bagnate; quindi introduce sa tunda con una pala di castagno infarinata e lascia che si gonfi come una grande palla semitrasparente governando il fenomeno con un altro attrezzo: sa palìtta. Una volta sfornato, il pane si sgonfia e torna nelle mani delle panificatrici, che lo dividono in due sfoglie – una leggermente più spessa dell’altra – che vengono rimesse brevemente in forno per biscottare, ovvero carasare, o arridare.
Le sfoglie mediamente pesano 25 grammi l’una e hanno un diametro di circa 50 centimetri; ma in alcuni paesi la tradizione le vuole grandi il doppio e in altre più o meno la metà. Alla fine della lavorazione vengono messe a piradas, ovvero sovrapposte in torri alte anche un metro.
Sul fronte dell’innovazione c’è anche chi frigge il carasau
arrotolato e lo riempie di crema di ricotta di pecora, ispirandosi ai
cannoli siciliani; o lo utilizza come la pasta in una lasagna,
condendolo a strati con ragù o verdure. In ogni modo è la qualità che
conta: lievito madre e ottimo grano duro coltivato in Sardegna.
Bibliografia e sitografia:
La sacralità del pane in Sardegna. Riti, credenze, miti e simboli della panificazione tradizionale, Marisa Iamundo de Cumis, Carlo Delfino Editore, Sassari 2015
Il giorno del giudizio, Salvatore Satta, Adelphi, Milano 1979
Sardegna Agricoltura – prodotti tipici, Istituto etnografico della Sardegna
Il pane carasau: il pane “perfetto” della tradizione
La Sardegna è la terra del pane da mangiare, da conservare, da benedire, del pane legato alle ricorrenze e alle tappe della vita. E si può assaggiare in una varietà di forme e consistenze difficile da elencare. Ci abbiamo provato nell’articolo sui pani quotidiani della Sardegna del 3 agosto e ci proveremo ancora, perché è un argomento che ci appassiona.Il pane carasau è “perfetto” con la sua grande forma rotonda, sottile, croccante; è disponibile a farsi manipolare per molte ricette e nasconde bene il lungo lavoro artigianale che serve per ottenerlo. Fino agli anni ’40 del XX secolo era probabilmente il pane più diffuso nelle zone centrali dell’isola. Si cuoceva in ogni paese – quasi sempre nel forno comune – e serviva da provvista per la casa; ma veniva anche piegato in quattro quando era ancora caldo e riposto in sas tascheddas (le bisacce) per diventare “pane da viaggio” per gli uomini che stavano a lungo lontani da casa con le greggi.
Il carasau nelle opere degli artisti sardi
Sono bellissime le descrizioni che ne danno due grandi artisti sardi: Francesco Ciusa (1883-1949) e Salvatore Satta (1902-1975), entrambi nuoresi. Quella di Ciusa è fisica, tridimensionale, commovente e si esprime nella scultura intitolata Il pane, che raffigura una donna seduta a terra, con l’asse di legno sulle ginocchia intenta a impastare. Ancor oggi è possibile vedere donne anziane di paese che lavorano il pane in questo modo. Quella di Satta è fatta di parole che rievocano l’infanzia, che parlano di comunità e della storia di molti sardi Questa metteva la sfoglia su una pala liscia e sottile […] infilava la pala nel forno e la sfoglia al calore diventava, se era ben fatta, un’immensa palla (Il giorno del giudizio, 1977)Pane carasau impilato - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Il pane carasau fatto in casa: la Sardegna e le sue tradizioni più vere
I passaggi per fare il pane carasau in casa – il che include anche piccoli gesti scaramantici, come raccogliere le briciole e offrirle alle anime dei defunti, o chiudere la bocca del forno nel caso passi un estraneo, così da proteggere da occhi indiscreti la sacralità della nascita del pane – sono diversi e ben codificati. Ogni porzione di pasta fatta di semola, lievito madre, acqua e poco sale, già lievitata e “riposata”, viene lavorata su una tavola (mesa) aggiungendo un po’ d’acqua tiepida. Questa operazione si ripete fino a che la pasta è abbastanza elastica da essere divisa in sfere schiacciate, che vanno poi spianate. Le donne addette a questa operazione sono sas tendidoras, sono tre e lavorano con il matterello (cannèddu): la prima abbozza la forma, la seconda spiana e la terza – la più abile – ottiene la sfoglia, sottilissima e circolare (sa tunda), che dev’essere senza imperfezioni o la cottura rischia di non riuscire. Il pane, infatti, si fa sempre insieme, in comunità, mai da sole.Prima di infornare, la donna addetta al forno lo ripulisce con un fascio di erbe bagnate; quindi introduce sa tunda con una pala di castagno infarinata e lascia che si gonfi come una grande palla semitrasparente governando il fenomeno con un altro attrezzo: sa palìtta. Una volta sfornato, il pane si sgonfia e torna nelle mani delle panificatrici, che lo dividono in due sfoglie – una leggermente più spessa dell’altra – che vengono rimesse brevemente in forno per biscottare, ovvero carasare, o arridare.
Sfoglie di pane carasau - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Le sfoglie mediamente pesano 25 grammi l’una e hanno un diametro di circa 50 centimetri; ma in alcuni paesi la tradizione le vuole grandi il doppio e in altre più o meno la metà. Alla fine della lavorazione vengono messe a piradas, ovvero sovrapposte in torri alte anche un metro.
Il pane carasau: molto usato in cucina e sempre disponibile
Chi visita oggi la Sardegna può trovare il carasau in ogni negozio di alimentari, ristorante, agriturismo, trattoria; semplice, integrale, condito con olio e sale – e allora è su pani guttiau – utilizzato in cucina in modo tradizionale o creativo. Sul fronte della tradizione si schierano il mazzamurro, che consiste in pane carasau bagnato di brodo e condito con pomodoro e pecorino; la suppa cuadda, che è più o meno la stessa cosa, ma senza il pomodoro, con più brodo e più pecorino. All’elenco possiamo aggiungere su pane frattau, piatto decisamente più robusto che prevede, oltre al pane, al sugo denso e al formaggio, anche una o più uova.Pane carasau durante uno spuntino - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Bibliografia e sitografia:
La sacralità del pane in Sardegna. Riti, credenze, miti e simboli della panificazione tradizionale, Marisa Iamundo de Cumis, Carlo Delfino Editore, Sassari 2015
Il giorno del giudizio, Salvatore Satta, Adelphi, Milano 1979
Sardegna Agricoltura – prodotti tipici, Istituto etnografico della Sardegna
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti non sono moderati, quindi mi affido alla vostra capacità di essere gentili ed educati :-)
Se lo desiderate, potete anche mandarmi un messaggio privato. L'indirizzo lo trovate in alto a destra, sulla home page