Per il Gran Tour della Sardegna parliamo di erbe... magiche



Elicriso - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Il Gran Tour della Sardegna di Aifb ha, per questa tappa, un'ospite d'eccezione: la scrittrice e cara amica Claudia Zedda. 

Claudia, grande esperta dell'argomento, ci parla di erbe spontanee sarde e del loro uso. 

Cucina povera, ma anche… magia attraverso le testimonianze raccolte sul campo. 

Leggete.




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Ecco l'articolo:


Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Erbe magiche che nutrono, erbe magiche che curano

Il mondo delle erbe, spontanee o coltivate, in Sardegna come in molte altre realtà agricole e pastorali è strettamente legato alla vita di chi le raccoglie, di chi le lavora e di chi le utilizza. Moltissime erbe sono edibili, sono curative, alcune persino magiche e, fino a non molti decenni fa, erano una delle maggiori fonti di cibo cui avevano accesso gli abitanti della Sardegna. Molti informatori anziani oggi ci tengono a sottolineare quanto siano state importanti per loro in età infantile.

Le erbe per la cucina e la cura: approvvigionarsi in campagna

La signora Agnese, casalinga, nata a Villasimius oggi residente a Castiadas (Cagliari), ricorda come ogni stagione aveva le sue erbe e tutte ci sembravano buone, perché a quei tempi c’era fame. E ancora: ci aiutavano a sopportare la fame; molto di quello che trovavamo in campagna lo mangiavamo fresco e appena raccolto. Erano più spesso le ragazzine a raccogliere le erbe che venivano utilizzate per la preparazione di pietanze familiari. Le persone più povere invece le raccoglievano per sé e per chi gliele acquistava.
Agnese ricorda anche di come la campagna fosse non solo un supermercato a cielo aperto, povero ma sempre accessibile, ma anche una farmacia disponibile per la cura di qualsiasi male. Il mal d’orecchio lo curavamo con s’arruda (la ruta). La facevamo soffriggere nello strutto a fuoco basso e poi il liquido veniva fatto colare sulla parte dolorante. Mi ha curato così mia madre e io ho curato alla stessa maniera i miei figli.Appare chiaro il rapporto di dipendenza, necessità e fiducia che un tempo legava i sardi al proprio territorio.

Le molte erbe spontanee della Sardegna: raccolta e riconoscimento

La raccolta delle erbe per utilizzi alimentari familiari e medici era di competenza femminile, ma anche gli uomini raccoglievano, conoscevano e selezionavano le erbe idonee a qualsiasi occasione. Salvatore, il marito di Agnese, pastore oggi in pensione, tutte le volte che glielo si domanda, mostra con estremo orgoglio e molta nostalgia, alcune delle erbe che un tempo si consumavano: alcune me le sono dimenticate, altre, quelle che mi piacevano di più o che usavo più spesso, le ricordo ancora! dice. Ancora oggi, quando le ginocchia glielo consentono raccoglie il nastruzzu de riu, ovvero il crescione, per le insalate fresche ed è in grado di mostrare su pizziadori (l’ortica) – che alcuni mangiavano, ma non lui – la lavanda selvatica e l’elicriso, usate per abbruschiai (abbrustolire) il maiale.

Medicina e magia delle erbe sarde

Quando le erbe erano raccolte per essere utilizzate come medicina le attenzioni aumentavano: la raccolta avveniva in momenti particolari dell’anno e della giornata e in condizioni attentamente selezionate. In genere si aveva consapevolezza del “tempo balsamico” di ciascuna pianta: ognuna veniva raccolta nel momento in cui era presente il miglior contenuto di principi, non necessariamente il maggiore. Genericamente questo significava raccogliere le erbe durante il ciclo di San Giovanni Battista, tra il 23 e il 29 di giugno.

elicriso erba spontanea
Elicriso - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Le erbe venivano raccolte all’alba o al tramonto, in zone selvatiche precedentemente studiate e analizzate. Solo in rari casi si decideva di coltivare nel proprio giardino le piante spontanee: questo accadeva per esempio per il fenùgu bonu o matafaluga, ovvero il finocchietto selvatico (Foeniculum Vulgare), specie comunissima in Sardegna e dalle forti connotazioni magiche. Era medicina, ma anche ingrediente insostituibile in cucina. In alcuni casi le erbe si raccoglievano con la luna calante: si riteneva che esattamente come la luna, anche i sintomi della malattia affrontata con quella particolare erba sarebbero calati e la malattia risolta.
Le erbe raccolte potevano essere lasciate essiccare, oppure conservate con olio, aceto, vino, in grappa, strutto, o usate fresche. In questo caso potevano essere battute legno su legno. Le informatrici dicono che una delle basi più idonee era sa mesa ‘e su pani (il tavolo impiegato per la panificazione). Vista la sacralità che circonda la preparazione del pane, è facile immaginare che anche le erbe godessero della stessa stima. In pratica ogni erba poteva essere considerata, in base all’occasione, alimentare, curativa, aromatizzante o magica.

Le erbe alimentari, curative e magiche

Oggi abbiamo poco tempo e gli spazi veramente naturali sono sempre meno: siamo quindi obbligati a ridurre drasticamente il numero delle erbe spontanee da raccogliere, scegliendo accuratamente quelle che sono più apprezzate.

sos fumentos
Sos Fumentos  - Foto per gentile concessione di Claudia Zedda


L’asparago (Asparagus acutifolius), in lingua sarda sparau aresti, è oggi come ieri particolarmente apprezzato in cucina: può essere cotto sotto la cenere calda, oppure soffritto in padella con l’aggiunta di uova dando vita a un piatto semplice come sparau a ischischionera. Può essere protagonista della turta de sparau (frittata) o finire in un risotto con l’aggiunta di finocchietto, bietola e cicoria di campo. Un tempo l’asparago selvatico era usato anche come diuretico e per la cura dei calcoli renali; è curioso ricordare anche che con i rami della pianta si creavano delle scope adoperate dalle spigolatrici nelle aie.
La bietola (Beta maritima se selvatica, Beta vulgaris se coltivata) è un’altra pianta nota e usata in tutta la Sardegna oggi per scopi squisitamente alimentari, ma un tempo anche per scopi medicinali. Viene lessata per la preparazione di frittate o per la realizzazione dei ravioli: kulingònis de èra, ma anche, genericamente, is kuluxònes. Le bietole finivano spesso in zuppe o risotti e, in più rari casi, erano utilizzate a scopo terapeutico. Potevano essere utili per uso esterno come emolliente, decongestionante, antiinfiammatorio, applicando la foglia direttamente sulla parte compromessa. Erano utili contro eritemi e bruciori da allergia. La foglia fresca battuta su legno era mescolata ad albume d’uovo e olio d’oliva e applicata sulla parte dolorante.
Da segnalare anche la portulaca (Portulaca oleracea L.), chiamata sa proceddana e con molti altri nomi. È una delle piante segnalate da Salvatore, usata in insalata, salamoia, ma anche per curare molte patologie.
In Sardegna come altrove era usata per le sue proprietà diuretiche, emollienti e antiscorbutiche; si usava contro le infiammazioni in generale, per la cura degli occhi, e per la cura di infiammazioni e vermi intestinali. Per via esterna invece era spesso usata come vulnerario nelle ferite.
Impossibile non accennare anche all’aglio, alimento fondamentale nella dieta dei sardi e medicamento preziosissimo. Nella varietà triquetrum, àpara in lingua sarda, veniva e viene consumato crudo in insalata o cotto in frittate molto apprezzate. L’aglio, nell’ambito medico popolare, era usato per la cura di diverse patologie: in caso di congiuntivite si alitava sugli occhi dopo aver masticato o mangiato alcuni spicchi di aglio; per favorire il parto si potevano fare fumigazioni di aglio alle parti intime bruciando in un braciere le trecce di foglia essiccate, religiosamente conservate. Era inoltre considerato antimalarico e l’aglio fresco era strofinato contro le punture di insetti con ottimi risultati.
Contro gli eritemi si preparava un particolarissimo olio noto sull’isola come òllu minàu: venivano emulsionati spicchi d’aglio tritati con acqua di fonte e olio extravergine di oliva. In caso di coliche veniva praticata la mexìna de ir cinku kòsas (la medicina delle cinque cose). L’aglio era l’ingrediente fondamentale. L’aglio era ingrediente anche di molte terapie magico-rituali: attraverso l’aglio (non meglio definito) si praticava una particolare forma di esorcismo. Sa morridùra si praticava contro le infezioni provocate dalle punture di insetti, come per esempio le pericolose zecche: l’aglio veniva pestato e passato sulla parte in forma di croce.

Le erbe “naturalizzate”: una risorsa importante

Da segnalare anche il fico d’India (Opuntia ficus indica), noto in Sardegna come figu morisca, introdotto dagli spagnoli in Europa nel XVI secolo e velocemente naturalizzato in tutto il Mediterraneo. È stato un’incredibile riserva alimentare per molti sardi: si utilizzava il frutto, crudo o cotto, ma anche, in condizioni di estrema povertà, la polpa delle pale più giovani. Ci troviamo davanti ad un chiaro esempio di pianta spontanea alimentare e curativa. Il frutto ancora oggi viene mangiato crudo, appena colto, oppure viene utilizzato per preparare deliziose conserve e squisiti liquori, nonché una apprezzata sapa.
Sia le pale giovani, i cladodi, sia i frutti sono usati per l’alimentazione del bestiame. La sapa diluita in acqua era usata in caso di morbillo, mentre il fiore essiccato era assunto in forma di infuso nel caso di disturbi allo stomaco o per smaltire gli effetti di una grande bevuta. I cladodi erano invece usati contro varie malattie della pelle: furuncolosi, ascessi, mastiti, ferite o punture, ustioni, tumefazioni, geloni, dolori reumatici, bruciature, calli. La pala veniva tagliata in due, riscaldata e applicata sulla parte interessata. Poteva anche essere pestata legno su legno e l’impiastro poi applicato con olio o come cataplasma. Recenti studi dimostrano l’efficacia della pianta nella cura del diabete, dell’obesità e delle affezioni infiammatorie. Il fico d’india era ritenuto inoltre una pianta magica: dotato di aculei pungenti, lo si riteneva in grado di tenere lontano il malocchio e i visitatori male intenzionati. Per questo, e altri motivi, veniva posto a recinzione dei terreni di proprietà.

sidro di fuoco
Il sidro di fuoco - Foto per gentile concessione di Claudia Zedda

Il potere del profumo delle erbe spontanee

Chiudiamo questa breve disamina ricordando che molte erbe erano considerate dei veri e propri aromatizzanti. Salvatore ricorda per esempio che la peluria del maiale veniva bruciata con l’uso di lavanda selvatica (Lavandula Stoechas) e dell’elicriso (Helicrysum italicum microphyllum). Questa sorta di “scopetta agreste” era utile per la pulizia della carne ed era in grado di regalarle un incredibile aroma. Un’altra curiosità: l’elicriso, pianta magica e protettiva per eccellenza, veniva usato dalle donne sarde per la profumazione degli ambienti, degli indumenti e per la depilazione delle gambe: la pianta appena bruciata veniva sfregata contro le zone da depilare.

Testo e foto di Claudia Zedda

Claudia Zedda, ospite del Gran Tour della Sardegna, vive a Cagliari. É autrice affermata di saggistica e narrativa; antropologa; esperta di gastronomia e di trattamento delle erbe spontanee sarde, di cui ci parla oggi.


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