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Per il Gran Tour della Sardegna parliamo di pani speciali, rituali, delle feste, identitari



Pani decorati tradizionali di Paulilatino - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati 
 
Per il Gran Tour della Sardegna di Aifb un articolo molto importante. 

Si tratta di quello sui pani rituali scritto dall'amica e collega blogger Natascia Mura (alias Natalie Moore). Un viaggio bellissimo alla scoperta del significato profondo del pane, del suo valore e dei suoi legami indissolubili con la cultura più vera della Sardegna.

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Ecco l'articolo:

Gran tour d’Italia, la Sardegna: la cultura del pane

La Sardegna è una terra antica, intrisa di storia e simboli arcaici ancora inesplorati e misteriosi e, soprattutto, è un’isola, lontana dal continente cui appartiene. Queste caratteristiche le hanno permesso di evolversi “a modo suo”, nel bene e nel male, mantenendo una distanza fisica e temporale con il resto d’Europa. Un retaggio prezioso della storia millenaria e dell’isolamento è proprio la cultura del pane, comune a nessuna altra regione italiana: fitta, ricca e variegata, che si esprime in una moltitudine di ricette, forme, usi e costumi diffusi in tutta l’isola, da nord a sud.

Il pane in Sardegna: cultura e valore comunitario

La panificazione domestica – perché di domestica si tratta se parliamo di reale lavorazione e cultura del pane, per una serie di cure e tempistiche che su larga scala vengono inevitabilmente perse – è praticata in tutti i paesi del Mediterraneo e in Sardegna nasce sicuramente durante l’età nuragica (1800 a.C. circa): sono stati infatti trovati forni, utensili e resti di impasto fossilizzato in alcuni nuraghi. In ogni paese, in ogni piccolo villaggio la gente ha continuato ininterrottamente a panificare tramandando fino ai giorni nostri ricette e consuetudini. Altre ricette sono andate perse perché il desiderio di tenerle segrete per proteggerle, le ha in realtà fatte dimenticare, travolte dalla velocità del nuovo millennio. La panificazione tradizionale che sopravvive oggi si distingue in due grandi categorie: i pani quotidiani – che raggiungono comunque una cifra a due zeri – e i pani preparati per le feste, i cosiddetti pani rituali, anche questi moltissimi, con nomi che variano da zona a zona e, a volte, da quartiere a quartiere.
Cercare di distinguere l’impronta magico-spirituale di certi tipi di pane dalla loro descrizione puramente tecnico-narrativa è impossibile. Già le due sole materie prime utilizzate, cioè l’acqua e il grano, sono archetipi ben precisi, fortemente legati a riti sacri arcaici; basti pensare ai numerosi pozzi sacri e fonti diffuse nell’isola, o a piccoli rituali scaramantici e mistici che ancora si praticano utilizzando acqua e chicchi di grano. La terra, il grano e l’acqua, gli elementi preziosi che la natura benevola donava all’uomo, venivano onorati con riti devozionali a ogni ricorrenza con la preparazione del pane in tutte le sue forme.
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati



Anche nella panificazione ordinaria si ritrovano una sacralità e un rispetto antichi per i gesti obbligatori e semplici che hanno sempre accompagnato impasti, lievitazioni e cotture. Il divieto di tagliare gli impasti con lame di metallo (si deve usare un attrezzo di legno); il segno della croce inciso sulle pagnotte e ripetuto prima di infornare; la gelosa custodia lontano da occhi potenzialmente “infausti” dei pani in lievitazione; la fiducia nel potere curativo della farina che cade dal pane appena uscito dal forno; l’importanza del telo che aveva avvolto e protetto gli impasti in fase di maturazione… sono solo alcuni dei rituali tradizionali legati a questa preziosa arte antica.
La sacralità di questa attività emerge e spicca anche nella gran varietà di pani prodotti in occasione di feste popolari, pagane, religiose, familiari e locali. Abbiamo pani per festeggiare la Domenica delle Palme a forma di palma da appendere sopra la porta; quelli per la Pasqua, chiari, bianchi, decorati generalmente con piccoli ricami e sforbiciate e con un uovo intero inserito nella pasta; quelli per il Natale, il Capodanno, la nascita, la morte, la mietitura, preziosissimi ed elaborati; quelli per  il matrimonio, che prevedevano un enorme lavoro da parte delle famiglie degli sposi. Questi ultimi venivano prodotti in svariate forme, con valenze maschili e o femminili a seconda delle molteplici tradizioni, ed era d’obbligo l’utilizzo di su trigu nou (il grano fresco) e di farina appena molita, particolarmente profumata.
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Il pane come ritualità e arte

La panificazione ha sempre avuto un senso sociale, comunitario. Il pane – inteso come base dell’alimentazione – si conosceva e si preparava con semplicità e naturalezza, affidato alle donne dei paesi, che, in occasione delle feste, si prodigavano nell’arte di plasmare un cibo semplice e fondamentale dandogli forme simboliche perché comunicasse devozione, buoni auspici e gratitudine o veicolasse una preghiera, un voto.
Alcuni di questi pani vengono impastati senza lievito, perché la lievitazione ne cambierebbe forma e misure in cottura; questo perché molti hanno un ruolo artistico, sono delle vere e proprie sculture elaboratissime, pura manifestazione d’arte per un pubblico che era ed è la comunità stessa. E ogni comunità riconosce il proprio tipo di pane rituale. Esistono coroncine, simboli di fertilità, fiori e spighe, uccelli, gallinelle, trecce, grappoli d’uva e molte altre forme e decori che non hanno mai la stessa valenza. Impossibile definire ed etichettare tutti; si rischia sempre di dimenticarne qualcuno, oppure di non descriverlo abbastanza.
 
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati



La panificazione in Sardegna è veramente cultura, reale, profonda, non raccontabile del tutto. Ogni museo della regione custodisce diversi esemplari di pane rituale; ogni massaia riesce a convincervi che quello che si fa nella sua famiglia è il vero e tradizionale “formato antico”. Bisognerebbe andare per paesi e provare a lavorare con le rotelle seghettate, le forbicine e i piccoli coltellini artigianali insieme alle donne del luogo per poter capire e imparare (e io l’ho fatto diverse volte): varrebbe come aver letto un intero saggio sul tema. Paese per paese però. E sarebbe comunque una piccolissima parte.
Parlare di pane per me significa riflettere su alcune consapevolezze e saperi propri della mia famiglia, dei paesi da cui proviene, di persone che ho intervistato negli anni e di maestre di panificazione incontrate nella mia regione. Posso tuttavia consigliare la lettura di alcuni testi che arricchiscono e ricalcano quanto raccontato, come il bellissimo Pani edito da Ilisso di Nuoro, che custodisce un ricco archivio e la migliore raccolta fotografica sul tema, e altri due libri che ho letto di recente come

Bibliografia e sitografia:

La preziosa fatica del pane di Speranza Puggioni, edito da Domus de Janas, e La madre del pane di Giovanni Antonio Farris e Manuela Sanna di Carlo Delfino Editore.
Testo di Natascia Mura, foto di Cristiana Grassi
Blog di Natascia Mura: www.robadanatti.com
Blog di Cristiana Grassi: orataspensierata.blogspot.com



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