Crema di barbabietola e cannellini

 

Dopo aver raccolto i commenti quasi inorriditi di alcune persone che ritengono che mangiare le barbabietole crude sia impossibile (se non barbaro), mi trovo costretta a dimostrare il contrario con una serie di ricette. Scherzosamente, eh, perché prendermi troppo sul serio è al di là delle mie forze.

 

Intanto: cento grammi di barbabietole – crude – hanno solo 19 calorie, il che credo sia davvero poco; contengono il 23% di proteine e 77% di carboidrati. Questo con quantità notevoli di sodio, calcio, fosforo, tiamina, niacina, vitamina C e soprattutto potassio. Poco invece il ferro, ma antociani (eccerto! con quel colore!) e flavonoidi quanti ne volete. Le barbabietole sono definite “remineralizzanti e ricostituenti”, depurative e digestive. Poiché danno una bella carica ai globuli rossi, sono raccomandate ai soggetti anemici. Sui siti seri viene caldamente consigliato di consumarle crude, evitando le cotture prolungate.

 

Quindi CRUDE per trarre tutti i benefici possibili dalla buona pratica dell’eat your veggies. Ma ovviamente anche cotte, in moltissimi modi, se vi piacciono così. Anzi, a pagina 50 dello strepitoso Flavour di Yotam Ottolenghi c’è una ricetta fantastica per preparare delle barbabietole STRACOTTE, che vi consiglio.

 

Ora, torniamo a bomba e passiamo a uno dei tanti possibili modi di fare scorpacciata di barbabietole crude: una crema con fagioli cannellini che si fa da sola.

 

200 g di barbabietola

100 g di fagioli cannellini cotti

50 g di feta

una manciata di noci sgusciate

1 cucchiaio di semi di sesamo

1 spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

sale

pepe

 


Se avete acquistato dei cannellini in scatola già cotti spero li abbiate scelti di altissima qualità; scolateli accuratamente dal liquido di conservazione. Altrimenti mettete a bagno i fagioli la sera prima e poi, all’ora di pranzo, lessateli in sola acqua fino a che non saranno teneri, scolateli e teneteli da parte.

 

Fate tostare i semi di sesamo in una padellina antiaderente muovendoli continuamente fino a che non ne sentirete il profumo. Attenzione che bruciarli è un attimo. Fateli raffreddare perfettamente.

 

Pelate la barbabietola e tagliatela a dadini. Sbriciolate la feta, sbucciate e mondate lo spicchio d’aglio.

 

Riunite nel vaso del mixer tutti gli ingredienti compreso l’olio (abbondante) e un pizzico di sale e pepe. Azionate a scatti fino a ottenere una crema. Assaggiate e regolate di olio e sale solo se serve.

 


Servite con crostini di pane di qualsiasi genere. Se avanza conservate in frigorifero in un contenitore ermetico, poiché tende a ossidarsi. Potete sostituire la feta, se non vi piace o non la trovate, con un formaggio di capra semistagionato. Attenzione al sale!


Insalata di riso scomposta

 

Non ho alcuna simpatia per le insalate di riso. L’ho detto. Ne ho preparate forse due in tutta la mia vita di cuoca casalinga e senza troppo entusiasmo. Un po’ perché ho, lo ammetto, delle resistenze nei confronti del riso in particolare e molto perché pasta e riso freddi in generale non mi piacciono proprio. Saranno ideali per l’estate, non dico di no, ma …

 

Quindi ecco qui l’eccezione: un’insalata di riso scomposta. Ovvero gli ingredienti sono lì nel piatto e sta a chi mangia decidere se farne un’insalata condendo tutto insieme o mangiare una cosa per volta, magari ispirato dal colore o dalle diverse consistenze. E, visto che il periodo è quello delle barbabietole e avevo promesso di pubblicare qualche ricetta per mangiarle felicemente crude, ci sono anche qui.

 


Per 4 persone:

 

240 g circa di riso

1 barbabietola grande o due piccole

1 grossa mela dal sapore fresco e acidulo

2 fette di formaggio pecorino giovane

2 cipollotti freschissimi

qualche stelo di aglio selvatico

qualche fiore di calendula

olio extravergine di oliva

aceto di mele

sale

pepe

succo di limone

 

Mondate la barbabietola e riducetela a dadini di non più di 2 centimetri di lato. Riunite i dadini in una ciotola e conditeli con abbondante olio, sale, pepe bianco, aceto di mele. Fate riposare per almeno mezz’ora.

 

Intanto lessate il riso in acqua leggermente salata, scolatelo bene, conditelo con un filo d’olio e fatelo raffreddare allargandolo su un grande piatto. Se usate un riso tipo Carnaroli o Vialone o simili ci vorranno 15, 18 minuti. Ma potete scegliere un riso integrale, un Basmati o anche un Venere. In quel caso regolatevi per i tempi secondo quanto indicato sulla confezione.  

 

Mondate, affettate fini e lavate i cipollotti.

 

Mondate e sbucciate la mela. Affettatela fine con una mandolina bagnando via via le fette con un po’ di succo di limone.

 

Lavate e tagliate fini anche gli steli di aglio selvatico con le forbici.

 

Riducete il formaggio a dadini della stessa misura di quelli di barbabietola.

 

Disponete equamente gli ingredienti nei piatti come vedete in foto, o come vi detta la fantasia. Facendolo, scolate bene la barbabietola e lasciate tutto il condimento nella ciotola.

 

Aggiungete nella ciotola ancora un po’ d’olio e di aceto di mele, mescolate energicamente, assaggiate ed eventualmente regolate di sale, poi distribuite il condimento sul riso e sulle verdure. Darà un bel colore rosa scuro. Fate insaporire qualche minuto prima di servire.

 

 


Minestra di barbabietole, spinaci e ceci

 

Quando in famiglia mi vedono girare con Jerusalem, il tomo (circa 320 pagine) di Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi, sanno che a breve la mia cucina si riempirà di profumi di spezie e di sapori nuovi. La cosa accade spesso: quel libro l’ho praticamente consumato portandomelo in giro per la casa dal divano al banco della cucina, dal letto alla terrazza e imbottendolo di segnalibri, nastrini e Post-it. In realtà non so dire se ho mai riprodotto una ricetta esattissimamente come viene descritta nel libro, ma l’ispirazione che ogni volta riesce a trasmettermi la sua lettura è impagabile. Questa è una di quelle volte. Nel libro non c’è specificamente una minestra di barbabietola, spinaci e ceci, ma a me è venuta voglia di farla. A modo mio.

 

È una preparazione semplice e, se usate ceci già cotti, è anche veloce, ma il sapore e il colore sono assolutamente esplosivi. Se poi, come ho fatto io – che lo produco in casa ogni volta che posso – aggiungete, per completare, un po’ di labneh* con la sua cremosa acidità, avrete un piatto davvero soddisfacente, che avrete voglia di rifare. 

 


Per 4 persone:

 

500 g circa di spinaci freschi novelli

1,5 l circa di brodo vegetale (o anche semplice acqua)

250 g circa di barbabietola fresca

200 g circa di ceci già cotti

4 grossi spicchi d’aglio

olio extravergine di oliva

sale

pepe

2 cucchiai di succo di limone

1 cucchiaino da tè di baharat**

 

4 cucchiai di labneh condito con poco sale e poco olio

 

 

Lessate “al dente” i ceci in sola acqua non salata dopo averli lasciati in ammollo per almeno 36 ore. Ci vorrà poco meno di un’ora. Scolateli e sciacquateli. Naturalmente, visto l’impegno, in questi casi è meglio cuocerne in abbondanza e usare quelli in eccesso per altre preparazioni (un hummus non lo vuoi fare? o una bella insalata con cavolo nero e arance?). Altrimenti usate ceci già cotti in vasetto, ma che siano di ottima qualità: scolateli e sciacquateli.

 

Mondate gli spinaci – eliminando i gambi più lunghi, che però possono essere conservati e riutilizzati, per esempio nel ripieno di una torta salata o dei ravioli – e lavateli accuratamente. Sapete meglio di me quanto sia necessario lavarli più volte; spiace usare tutta quell’acqua ma ahimè si deve. Se possibile usate una vaschetta e riciclate l’acqua per innaffiare le piante e sciacquateli solo alla fine sotto l’acqua corrente. Scolateli.

 

Mondate e riducete in dadini la barbabietola.

 

Mondate e affettate finemente l’aglio.

 

Scaldate il brodo già pronto.

 

In una pentola per minestre scaldate abbondante olio, gettatevi l’aglio e fatelo rosolare. Aggiungete i dadini di barbabietola, mescolate per far insaporire. Bagnate con abbondante brodo e iniziate la cottura.

 


Dopo circa 20 minuti aggiungete i ceci, mescolate e aggiungete un pochino di sale.

 

Dopo altri 10 minuti potete aggiungere gli spinaci e altro brodo. Non appena gli spinaci – che in un primo momento saranno voluminosissimi, ma si ridurranno in fretta – sono amalgamati, assaggiate e regolate di sale.

 

Cuocete 5 minuti, poi allontanate dal fuoco e aggiungete il succo di limone, il baharat e, se occorre, ancora un pochino d’olio e un pochino di pepe.

 

Distribuite la minestra nei piatti e completate ognuno con un cucchiaio di labneh che avrete lavorato brevemente con olio e sale. Se volete, aggiungete ancora un soffio di baharat. Potete servire questa minestra anche tiepida.

 

 

·*Il labneh, o labna è un il “formaggio” di yogurt comune a tutto il Levante. Per prepararlo in casa basta procurarsi del buon yogurt greco (o tipo greco, ovvero intero e denso), oppure yogurt fatto in casa, e condirlo con un pizzico di sale: circa 5 grammi per 500 grammi di yogurt. Dopo averlo sistemato in un telo bianco di cotone o lino – oppure in un colino non metallico foderato con garza di cotone –  bisogna lasciarlo sgocciolare del proprio siero. Se possibile meglio completare l’operazione a temperatura ambiente, ma se fa molto caldo è consigliabile tenerlo in frigorifero. Dopo 24 ore il labneh è pronto. Ma dopo 48 è ancora meglio.

 

 

**Il baharat è una miscela di spezie che, in genere, viene definita “molto piccante”. Non necessariamente: come accade per tutte le miscele di spezie ne esistono moltissime versioni. Il baharat “standard” comprende noce moscata, pepe, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, paprica, peperoncino, aglio e cumino con piccole varianti. L’origine di questa miscela – il cui nome, baharat (anche nella versione biharat), in arabo significa semplicemente spezie – viene collocata in Persia (Iran), ma è usata più o meno in tutti i Paesi arabi e nel Magreb. Più usata per le carni, secondo me (semplice opinione personale) dà invece il meglio di sé con le verdure.

 


Pane zichi con carciofi e colatura di alici

 

Il pane zichi è uno dei tantissimi pani sardi. Si tratta di un “pane giornaliero”, ovvero di uso quotidiano, non legato a nessuna ricorrenza o cerimonia in particolare. Un tempo era preparato durante sa cotta ‘è chida, ovvero l’infornata settimanale, che si faceva in comunità utilizzando un unico grande forno, e si impastava e cuoceva prevalentemente in estate, poiché la lievitazione era lenta e delicata e le temperature invernali potevano comprometterla.

 

Diffuso in particolare nelle regioni storiche del Marghine, Logudoro, Planargia e nei pressi di Ghilarza (territori oggi compresi tra la provincia di Sassari e quella di Oristano), il pane zichi prende nomi leggermente diversi e si presenta più o meno grande a seconda dei paesi. La forma però è sempre rotonda e piatta, l’aspetto liscio e compatto, il colore chiaro e il peso notevole, visto che un pane di 30 centimetri di diametro può pesare anche 300 grammi. È un Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) della Sardegna.

 

Il pane zichi si divide in due sfoglie di spessore leggermente diverso e si mangia fresco, farcito, oppure, una volta secco, come aggiunta nelle minestre e come una sorta di pasta. Ora sono gli stessi produttori che lo fanno seccare e lo confezionano pronto per essere cucinato. Per tradizione si cuoce per circa 15 minuti in brodo di carne pecora, oppure con un brodo più “povero” ottenuto con un pestato di lardo e prezzemolo. In entrambi i casi lo zichi viene poi scolato-ma-non-troppo e ricoperto di pecorino grattugiato. Altra versione tradizionale prevede di cuocerlo anche in semplice acqua (ma nel brodo è più buono) e di condirlo con il sugo di pomodoro e il formaggio, naturalmente.

 

Questa è la tradizione, ma negli ultimi anni lo zichi si è un po’ emancipato se mi passate il termine, e si accompagna con verdure del territorio – tipo i carciofi – e persino con il pesce, i frutti di mare e la bottarga. È sempre buonissimo.

 

Ecco quindi una semplice ricetta con i carciofi ma, invece della bottarga, che avrei normalmente utilizzato in abbinamento agli amici spinosi, come nota “pesciosa” e sapida ho aggiunto un po’ di colatura di alici. 

 

Per la descrizione di questo ingrediente di antichissima origine e dal sapore indimenticabile una volta provato, vi rimando, se già non lo conoscete, alla pagina di Wikipedia dove potete leggere storia e sistema di produzione: molto affascinante nella sua assoluta semplicità.





Per 4 persone

 

240 g circa di pane zichi

1,5 l circa di brodo vegetale

4 carciofi - Carciofo  spinoso di Sardegna Dop

1 patata media

½ cipolla bionda

2 spicchi d’aglio fresco

colatura di alici

olio extravergine di oliva

pepe sale

steli di agli selvatico

 

aceto di mele

vino bianco secco (facoltativo)

 

 

Mondate i carciofi e i loro gambi. Tagliate i gambi a dadini piccolissimi e i capolini a spicchi sottili (almeno 8 per ogni carciofo). Immergete in una ciotola di acqua fredda con un cucchiaio di aceto di mele.

 

Nel frattempo pelate e mondate la cipolla e affettatela finemente. Cominciate a farla appassire dolcemente in una casseruola bassa con abbondante olio. Sfumatela, se vi piace, con un po’ di vino bianco secco.

 

Sbucciate, mondate, lavate la patata poi grattugiatela con una grattugia a denti larghi e unitela alla cipolla. Rosolate brevemente. Sciacquate accuratamente i carciofi e aggiungeteli grondanti acqua. Lasciateli stufare chiudendo con un coperchio.

 

Nel frattempo riscaldate il brodo. Usatelo per bagnare via via i carciofi che devono cuocere perfettamente, essere morbidissimi, non sfatti ma quasi. Salateli pochissimo.

 

Quando i carciofi sono a buon punto salate leggermente il brodo e cuocetevi il pane zichi spezzettato. Mescolate spesso e guardatelo a vista: si deve ammorbidire e si deve “arricciare”, in nessun caso si deve sfaldare.

 

Mondate e sbucciate gli spicchi di aglio fresco e fateli a fettine. Tagliate gli steli dell’aglio selvatico fini fini con le forbici.

 

A questo punto aggiungete il pane ai carciofi scolandolo-ma-non-troppo dal brodo. Mescolate bene e aggiungete brodo secondo i vostri gusti facendo insaporire. Unite l’aglio e il pepe. Non mettete sale.

 


Distribuite nei piatti, fate un veloce giro d’olio, aggiungete l’aglio selvatico e poi un cucchiaino di colatura di alici per ogni porzione.

 

Servite subito.

 

 

 


Risotto con guanciale croccante e polvere di barbaietola

 

Mi sa che ho già detto, o comunque si è capito, che amo molto le barbabietole. Mi piace la forma – solida – mi piace il colore – deciso ma non sfacciato – e mi piace il sapore – terroso sì, ma anche stranamente fresco –  mi piace la consistenza – croccante ma cedevole.  

E quando non le trovo fresche (sì, le voglio fresche e crude) al mercato, perché non siamo proprio in tanti noi estimatori di barbabietole e quindi gli ortolani spesso le snobbano, ripiego sulla polvere.

 

La polvere di barbabietola è stata l’oggetto, insieme a quella di ortiche, di un vecchio articolo su un numero dell’Orata Spensierata Digest dove ne parlavo diffusamente, quindi, se ne avete voglia, potete tornare virtualmente a sfogliarlo.

 

Comunque, riassumendo, la polvere di barbabietola altro non è che il vegetale puro e semplice essiccato e ridotto in polvere, senza aggiunta di altro, nemmeno sale. Se avete un essiccatore la potete anche fare in casa; altrimenti si trova comodamente in commercio a prezzi direi ragionevoli, considerato che, in qualunque ricetta, se ne usa pochissima e che, se la tenete in un contenitore ermetico a riparo da luce e umidità, dura a lungo. L’aggiunta dà sapore, ma, soprattutto, dona un colore bellissimo a pasta fresca, impasti di torte e crostate, uova sode; persino a banali spaghetti al burro e formaggio.  

 

In questa ricetta si aggiunge all’ultimo momento e… trucca un semplice risotto casalingo facendolo sembrare chissà che. E questo, a volte, è più che sufficiente.

 

Per 4 persone

 

280 g circa di riso per risotti (Carnaroli)

1 l circa di brodo vegetale

1 cipolla bionda media

2 grosse noci di burro freschissimo

2 cucchiai di formaggio grattugiato (un pecorino non troppo stagionato o Parmigiano Reggiano)

sale

pepe

 

2 fette di guanciale spesse 2 centimetri

2 cucchiaini da tè di polvere di barbabietola

 


Tenete in caldo il brodo.

 

Mondate e riducete la cipolla in dadini finissimi e fatela appassire in una casseruola per risotti con una noce di burro. Fuoco dolcissimo.

 

Quando la cipolla è quasi sciolta mettetela da parte con tutto il condimento. Rimettete la casseruola sul fuoco e gettatevi il riso: fatelo tostare muovendolo continuamente fino a che non diventa traslucido. Aggiungete la cipolla con tutto il condimento, mescolate. Bagnate ora con un po’ di brodo e mescolate ancora.

 

Aggiungete brodo pian piano mescolando spesso. Ci vorranno dai 15 ai 20 minuti.

 

Nel frattempo riducete il guanciale a dadini e tostatelo in una padella ampia senza aggiungere alcun condimento. Deve risultare croccante.

 

Non appena il riso sarà cotto aggiustate di sale (senza esagerare, che tanto c’è il guanciale) e pepe; allontanatelo dal fuoco e mantecatelo con la seconda noce di burro e il formaggio grattugiato.

 


Distribuite il risotto nei piatti, aggiungete i dadini di guanciale sfrigolanti e, se volete, anche il loro grasso sciolto (golosi!) e spolverata con un soffio di polvere di barbabietola. Attendete mezzo minuto e portate in tavola.