Nella
letteratura relativa ai santi (agiografia)
si legge che Sant’Antonio era un eremita nato intorno al 250 in Egitto, il
quale solo in età avanzata tornò tra gli uomini e si dedicò ad aiutarli. Fu certo
di grande aiuto perché, si narra, scese agli inferi e, un po’ alla chetichella,
si portò via il fuoco nascondendolo in un fusto cavo di ferula. Gli uomini
avevano freddo, lui li riscaldò.
Basta
questo per assimilare l’anziano Antonio, raffigurato sempre in compagnia di un fido
maiale, al culto precristiano di Demetra. Demetra per i Greci era una divinità figlia di Crono e di Rea che sovrintendeva al
susseguirsi delle stagioni e alla rinascita della natura dopo la “morte” invernale. Durante i
Misteri eleusini, che prevedevano l’accensione di grandi falò, si celebrava il momento
in cui Demetra ritrova la figlia Persefone, la quale, rapita e relegata agli
inferi per metà dell’anno, torna sulla terra per farla rifiorire.
Non va
dimenticato, infatti, che il 17 gennaio, giorno dedicato al santo, segna anche
l’inizio del Carnevale, periodo di festeggiamento e di allentamento dei freni
inibitori in onore della linfa che riprende a scorrere nelle vene della terra e
delle piante per prepararsi alla primavera.
In tutta
l’Italia rurale la notte tra il 16 e il 17 gennaio si accendono, nelle piazze e
sui sagrati delle chiese, i falò dedicati a Sant’Antonio. In tutta Italia si
riuniscono le comunità e quindi si mangia e si beve in armonia.
In
Sardegna, regione ricchissima di tradizioni che vengono sempre onorate attraverso
la condivisione del cibo, questa notte, la notte di Sant’Antonio, è l’occasione
per vedere e assaggiare esempi di pani
del ciclo del solstizio d’inverno. Pani speciali, rituali, che si modellano
appositamente per Santa Lucia (13 dicembre), Capodanno (1 gennaio) e, appunto,
Sant’Antonio.
In molti
paesi questa notte si corre anche un’ardia: cavalli e cavalieri bardati a festa
galoppano per le vie del paese e intorno al falò, passando per la chiesa
principale dove la corsa si ferma per ricevere la benedizione. Vengono
benedetti i cavalli, gli obrieri (coloro che portano le insegne del santo) e i
pani. In altri paesi è lo stesso sacerdote che, girando intorno al falò,
benedice il pane e ne getta una fetta tra le fiamme in segno di omaggio al
santo.
I falò stessi
sono diversi da zona a zona: in alcuni paesi si fa una pira di rami e piccoli
tronchi cui si aggiungono frasche di rosmarino; in altri si sormonta il grande
fuoco con pali con infilzate profumatissime arance; in altri ancora invece il
fuoco si accende nel grande tronco cavo di un albero – sa tuva – abbattuto dal vento o dal fulmine, scelto con grande
anticipo e trasportato sulla piazza del paese.
Ovunque
però si distribuiscono dolcetti, fette di pane con l’olio, vino – spesso spillato
per la prima volta dopo la vendemmia – e piatti di stufato di maiale o di
pecora bollita con cipolle e patate; oppure fave secche della precedente
stagione cucinate con il lardo. Ovunque i bambini sono protagonisti: in alcuni
paesi si modellano pani solo per loro, in altri vanno di casa in casa a
gruppetti a chieder dolcetti, oppure li si incarica di portare i pani fatti in
casa alla benedizione collettiva.
Ecco un
piccolo tour virtuale dell’isola (parziale, perché il culto di Sant’Antonio è
diffuso in moltissimi altri paesi) e dei pani rituali legati a Sant’Antonio.
A Bono
(Sassari) esiste il grande cogone ‘e
Sant’Antoni; una sfoglia tonda di circa quaranta centimetri di diametro sulla
quale viene spalmata una riduzione di miele e di sapa (mosto cotto) con l’aggiunta
di decorazioni a forma di spiga e di fiore, simboli della nuova stagione.
A Bottida
(Sassari) si cuoce su pane ‘e s’ardia:
un pane con zafferano, impreziosito da finissime decorazioni, che viene portato dall’obriere a
cavallo, avvolto in drappi e nastri, nel tradizionale giro intorno al fuoco. A
tutti quelli che assistono all’ardia viene offerto un dolce – sa thilicca – con strutto e zucchero,
glassato e decorato da confetti colorati.
A Ovodda (Nuoro)
il pane tradizionale del 17 gennaio è a forma di maiale, animale che
accompagnava Demetra, così come Sant’Antonio. Ma si confeziona anche un pane
con sapa e frutta secca, che un tempo si mandava a chi stava a guardia delle
greggi negli ovili lontani dal paese: si riteneva che questo pane avesse potere
protettivo per persone e animali.
A Silanus (Nuoro)
si preparava un pane dolce con miele e sapa (mosto cotto) chiamato sa diadema, a forma di ghirlanda. Oggi è
rarissimo.
A Dualchi e
Sarule (Nuoro) si cuocevano tredici piccoli pani arricchiti con un po’ di
strutto, da donare a tutti coloro che si chiamavano Antonio.
A Fonni
(Nuoro) il sacerdote gira intorno al fuoco portando un pane dolce con la sapa
e, al terzo giro, ne getta una fetta nel falò.
A Lodè
(Nuoro) si facevano sos calistros,
pani con poco zucchero dalla forma intrecciata.
A Torpè
(Nuoro) invece si fanno ancor oggi piccoli pani intrecciati chiamati sos cogoneddos de Sant’Antoni.
A Nuoro città
e in alcuni paesi della provincia come Oliena, Dorgali e Orosei si prepara su pistiddu: un dolce delicatamente
decorato fatto di pasta violata (con strutto) ripiena di vino cotto e arancia,
che dev’essere fatto rigorosamente in casa e quindi portato in chiesa per la
benedizione. Nel nuorese un’altra curiosa tradizione, oggi non più in uso,
prevedeva di cuocere il giorno di Sant’Antonio dei piccoli panini duri e
compatti con una croce incisa detti sas
balleddas de Sant’Antoni. Dovevano poi essere conservati in casa e gettati
dalla finestra – con evidente valore apotropaico – in caso di calamità,
tempeste o temporali estivi.
A Mamoiada
(Nuoro) si cuoce ancora un pane addolcito con il miele – su coccone chin mele – a forma di uomo, animale (in particolare
serpente) o frutta. Intorno al fuoco, accompagnati dal vino nero, non mancano
mai sos papassinos nigheddus,
dolcetti secchi con mandorle, noci, sapa, uva passa.
A Sedilo
(Oristano) si modellavano sos treighi
panes; ovvero tredici pani da tagliare a fette sottili da donare ai vicini
per consolidare i legami sociali in vista della nuova stagione di lavoro nei
campi. Si cuoceva anche sa panischedda
con la sapa e le mandorle per i bambini e le bambine, che li ricevevano in
cambio della recita scherzosa di una filastrocca.
Anche a
Samugheo (Oristano) ricorreva il numero tredici, ma i pani venivano donati ai poveri
del paese.
A
Fordongianus e Paulilatino (Oristano) invece il pane per il 17 gennaio è una
grande ciambella con uva sultanina, sapa e mandorle: sa pani manna.
A Scano
Montiferro (Oristano) si cuociono pani con aggiunta di poca sapa, senza la
frutta secca tipica di altre località, però con foglie di alloro e, a volte,
miele e latte. Le foglie sono funzionali alla conservazione del pane, ma anche
un omaggio al santo, il quale è raffigurato con un bastone ricavato dalla
profumata pianta.
Ad
Aidomaggiore (Oristano) i dolci di Sant’Antonio sono preparati rigorosamente
con la sapa di ficodìndia e
un procedimento un po’ diverso dagli altri dello stesso genere. La semola si
aggiunge direttamente alla sapa mentre sobbolle, si lascia addensare, poi si
aggiungono frutta secca e uva passa per poi stendere delle sfoglie spesse un
centimetro, che vanno ripassate in forno a bassa temperatura.
A Cardedu (Ogliastra)
il pane di sapa è decorato anche con una glassa di zucchero e confettini
colorati.
La
panificazione per Sant’Antonio prevedeva ovunque una lunga preparazione. Si
macinava una semola di grano duro particolarmente scelta e fine e poi, a
seconda delle tradizioni locali, andava ricavata la sapa a partire dal mosto
d’uva o dalla polpa dei fichidìndia;
andava preparato lo strutto e sgusciata la frutta secca; rinfrescata la pasta
madre... Oggi sicuramente molte di queste operazioni preliminari sono rese più
facili e comode da robot e strumenti moderni in generale; ma tempo, cura, amore
e fantasia per le decorazioni sono sempre ingredienti fondamentali.
Molte
informazioni per questo piccolo excursus le ho tratte da quattro testi per me
importantissimi. Il primo è il bellissimo saggio illustrato, puntuale, e completissimo
sul pane in Sardegna La sacralità del pane
in Sardegna di Maria Iamundo De Cumis, pubblicato da Carlo Delfino Editore
nel 2015. Il libro è ricchissimo di informazioni sui pani di Sant’Antonio,
quelli antichi, quelli caduti in disuso e quelli ancora vitali. Il secondo è
l’altrettanto bello e interessante Dolci
in Sardegna. Storia e tradizioni, di Ilisso, 2011. Il terzo è il piccolo ma
denso libro dell’amica Alessandra Guigoni La
lingua dei santi, edito da Aracne nel 2016. Il quarto è una raccolta di
saggi e contiene una irresistibile carrellata di immagini di pane di ogni
genere e varietà di tutta la Sardegna: si tratta di I pani, di Ilisso. Altra fonte di informazioni e soprattutto di
immagini, anche molto datate e perciò particolarmente interessanti, è il sito www.sardegnadigitallibrary.it/