Biscottoni al miele e farina di castagne



Dopo il fortunato progetto Gran Tour della Sardegna che l’Orata Spensierata ha portato avanti per i mesi di agosto e settembre con i ventisette articoli pubblicati a scadenza trisettimanale sul sito Aifb, ritorno a scrivere ricette.

Per rompere il ghiaccio dopo una così lunga assenza vi propongo dei biscotti. Semplicissimi e inventati di sana pianta più che altro per utilizzare alcuni ingredienti che mi chiamavano ogni giorno dalla dispensa, ansiosi di essere utilizzati: la farina di castagne; un raro miele di melograno di provenienza artigianale e un prodotto che ho acquistato qualche settimana fa spinta da una grande curiosità e che non avevo ancora neppure aperto. Si tratta dei chocolate nibs Vaicacao, 100% cacao proveniente da El Salvador, “gently roasted” così da trasformarsi in una croccantissima granella irregolare.

Risultato? Dei biscottoni morbidi e croccanti allo stesso tempo, molto aromatici e dolci quel tanto che basta per essere appaganti per il palato.



150 g di farina di castagne
125 g di burro
100 g di semola integrale rimacinata
100 g di miele liquido - io ho usato il raro miele di melograno, ma un millefiori può andare altrettanto bene, così come un miele di castagno
50 g di zucchero di canna grezzo
2 uova intere
35 g di chocolate nibs cacao 100%
15 g di semi di papavero
5 g di lievito in polvere per dolci

In una ciotola di acciaio lavorare il burro molto morbido con lo zucchero e il miele fino ad avere una crema (pomata) molto liscia.

Aggiungere un uovo alla volta - a temperatura ambiente - e amalgamare bene.

Setacciare insieme la farina di castagne, la semola integrale e il lievito per eliminare tutti i grumi (la farina di castagne tende a farne) e aggiungere il mix all’impasto a cucchiaiate. Mescolare bene ogni volta.



Aggiungere i chocolate nibs e i semi di papavero e mescolare ancora utilizzando una spatola di silicone.

Lasciar riposare il composto in frigorifero per almeno un’ora, coprendo la ciotola con pellicola per alimenti.

Nel frattempo portare il forno a 180° in modalità non-ventilato e foderare con la cartaforno due placche.

Riprendere il composto, distribuirlo sulle placche a cucchiate distanziando bene i mucchietti. Appiattire leggermente ogni mucchietto con le dita leggermente inumidite o con il dorso di un cucchiaino, ugualmente inumidito.

Cuocere per 18 minuti. Spegnere il forno e aprire leggermente lo sportello. Lasciar riposare così per circa 15 minuti, poi estrarre i biscotti e lasciarli raffreddare completamente adagiati sulla placca.



Sono ottimi con il caffè, con il latte e da soli; la consistenza della semola integrale, il sapore delle castagne e quello del miele si sposano perfettamente; le chocolate nibs danno un tocco croccantissimo (non si sciolgono in cottura come il cioccolato, perché sono cacao 100%!) e fanno pensare – insieme all’aroma leggermente tostato dei semi di papavero – alla frutta secca.





Gran Tour della Sardegna di Aifb, ultima tappa: un'isola ancora tutta da scoprire



Formaggio fresa - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Il Gran Tour della Sardegna di Associazione Italiana Food Blogger - AIFB giunge oggi alla sua ultima tappa. 

Gallette di Carloforte - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Nell'articolo di oggi parlo un po' di tutto, tiro le mie conclusioni, divago su alcune ricette, menziono alcuni nostri prodotti e specialità che - per mancanza di tempo e di spazio - non ho potuto trattare in modo più approfondito. 

Maialino arrosto presso il Ristorante Su Carduleu di Abbasanta - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Spero che questo viaggio virtuale attraverso l'isola che mi ha accolto oltre un decennio fa con tutto il calore possibile e che è diventata casa mia vi abbia interessato. Spero di avervi fatto scoprire cose nuove, spero di aver presentato in maniera piacevole la storia di alcune tra le tradizioni più belle della Sardegna e di aver fatto almeno intravedere, a chi non la conosceva, l'enorme ricchezza del nostro patrimonio enogastronomico. Il cibo come cultura ed espressione di una regione e della gente che la abita, anche se non ci è nata (come me). 

Maccheroni al ferretto - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Ringraziamenti? Ne dovrei fare tanti, perché mi ha aiutato un sacco di gente disinteressatamente e con entusiasmo; diciamo che scrivere ventiquattro su ventisette degli articoli apparsi per questo Gran Tour della Sardegna è stato un modo per farsi nuovi amici e per cementare amicizie sincere. Un grazie doveroso va alle tre ragazze - Claudia Casu, Claudia Zedda, Natascia Mura - che hanno firmato gli altri tre articoli. 

Se avete curiosità, volete suggerire argomenti per nuovi futuri articoli o avete proposte per dare un seguito in altra forma a questo progetto io sono qui. 

Leggete
https://www.aifb.it/…/sar…/unisola-ancora-tutta-da-scoprire/


**********************************************

Ecco l'articolo:

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Un’isola ancora tutta da scoprire

Per questo Gran Tour di Aifb abbiamo girato la Sardegna dall’inizio di agosto a oggi. Un giro virtuale che ha condotto chi l’ha seguito a conoscere meglio alcune cose note di quest’isola meravigliosa – per esempio i prodotti e i vini Dop, Igp, Doc e Docg – e a scoprire prodotti meno noti, di nicchia o a rischio di estinzione.

Gran Tour tra le paste della Sardegna

Abbiamo parlato di pasta in questo post, soffermandoci su formati particolarmente belli come andarinos e lorighittas, o particolarmente diffusi, come i maccarrones; o che hanno un marchio di tutela come i Culurgionis ogliastrini Igp; o che sono rimasti appannaggio di pochissime donne come il filindeu, di cui ci ha parlato una maestra di pasta. Ma su questo argomento potremmo dire ancora molto, perché, per esempio, le varianti che non abbiamo potuto citare dei maccheroni al ferretto sono moltissime, così come quelle degli spaghettoni o degli stessi gnocchetti.

maccheroni col ferretto
Maccheroni al ferretto - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Tra vini e vitigni della Sardegna

Abbiamo parlato di vini in due articoli: uno incentrato sulle Doc e Dogc della Sardegna e sui vitigni autoctoni più noti; l’altro che esplorava vitigni meno noti e metodi produttivi alternativi con un’intervista a un sommelier. Ma anche in questo campo molto altro offre la Sardegna: molte ancora sono le uve locali con nomi bellissimi; moltissime sono le cantine e le aziende vitivinicole che producono vini di eccelsa qualità che esprimono benissimo lo spirito isolano. E, in tema di alcolici, non abbiamo dimenticato di avere tantissimi ottimi birrifici artigianali di fama ormai internazionale, o una produzione familiare e artigianale di ottimi liquori e distillati, spesso frutto della conoscenza delle erbe spontanee della macchia mediterranea, come finocchietto, genziana, menta… Semplicemente non abbiamo avuto il tempo di parlarne più approfonditamente; ma chi apprezza il genere, sappia che in Sardegna può trovare bevande alcoliche originali e di altissima qualità.

I pani quotidiani e speciali della Sardegna

Abbiamo trattato un argomento affascinante e fondamentale per noi: il pane, il pane quotidiano  e il pane speciale, rituale, legato a feste e ricorrenze. Grano duro e acqua che si trasformano in opere d’arte buone da mangiare: la semplicità di un alimento umile, che esce dalle mani delle donne, con l’immenso potere di raccontare e di trasmettere a noi stessi e al mondo il senso di comunità. Il nostro pane si mangia a tavola e si può conservare per ricordo, anche per decenni: molte sono le spose che tengono avvolto nella velina il loro pane delle nozze. E molte sono le donne devote che ancor oggi portano il loro pane in chiesa per la benedizione in occasione delle feste, o che lo donano ai bambini che fanno la questua di casa in casa. Questo è il pane per noi. Pane che si arricchisce, a volte, di altri ingredienti, come miele o zucchero o anche ciccioli di maiale e strutto.

pane di sapa sardo
Pane di sapa - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Un giro tra la ricca biodiversità sarda e i piatti più… strani

Abbiamo parlato di biodiversità agricola – fondamentale per progredire quanto per rimanere solidamente attaccati alla tradizione e al sapere di chi ci ha preceduti – di erbe spontanee, di frutta, di carciofi, di mirto, di miele, di zafferano. Non siamo riusciti ad approfondire la conoscenza di funghi e tartufi – tra cui prelibati porcini e pregiati ovuli – caratteristici delle zone interne dell’isola: sappiate che ci sono e che sono buonissimi. Doni della natura generosa della Sardegna, che sono anche una vera miniera d’oro, se sfruttate nel modo giusto.

porcini di Tiana (Nuoro)
Porcini nei boschi di Tiana, Nuoro - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Abbiamo parlato anche di produzioni animali: la bottarga e l’agnello, ma anche i salumi di maiale. Tutti prodotti ottimi, con una diffusione locale capillare e un certo peso economico grazie all’esportazione in Italia e all’estero. Ma, inutile dirlo, assaggiarli qui in un’occasione conviviale è tutt’altra cosa. E ne abbiamo altre di cose da farvi assaggiare… cordula, trataliu, piedini, cervella, trippa e lingua: ecco cosa aspettarsi sul menù di una vera trattoria sassarese. Ovvero: intestini e parti meno nobili dell’animale (vitello o agnello) che possono diventare vere delizie se ben cucinate.

favata di Sassari
La favata, piatto tipico della cucina sassarese - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


E aggiungiamoci anche la favata: un piatto tipico del Carnevale fatto con orecchio, guancia, piedi, muso del maiale conservati sotto sale, lavati e cotti con fave secche e finocchietto. Un’altra delizia tutta sassarese è lo zimino, che si cucina alla griglia, all’aperto, con più gente possibile intorno al fuoco e rigorosamente senza usare le posate. L’intestino del vitellone e il suo diaframma, ecco di cosa si tratta. Per completare il quadro non vanno dimenticate le specialità casalinghe ciogga e ciogga minudda (lumaca e lumachina), che a Sassari diventano anche protagoniste di una accesa gara annuale a chi ne… succhia di più. In pubblico.

lumache piatto tipico a Sassari
Ciogga (lumache) alla sassarese - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Gran Tour tra ciò che offre il mare della Sardegna

E anche il mare offre molto a chi sa apprezzare. Oltre al tonno di corsa, ovvero quello pescato con tecniche tradizionali nel Sulcis e consumato interamente, dal succulento filetto, alle sacche ovariche, alla buzzonaglia; oltre a cozze e ostriche allevate con successo; oltre ai pesci grandi e piccoli, più o meno pregiati, non dimentichiamo polpi, calamari, seppie, bocconi (Murice spinoso) e attinie (Anemonia sulcata) dette orziadas e servite fritte. E le anguille? Nell’oristanese, in primavera, si servono con il formaggio pecorino: assolutamente da provare.

Assaggiando formaggi e latticini in giro per l’isola

Abbiamo parlato di formaggi pecorini, quelli con il marchio Dop e quelli senza: tutti formaggi degni di nota, che esprimono benissimo la tradizione millenaria della Sardegna in questo campo. E abbiamo citato anche un formaggio di vacca, il Casizolu, intervistando un produttore. E anche di quelli di capra. Ma di formaggi e latticini si potrebbe parlare per giorni. Voglio citare qui alcune prelibatezze che, se verrete in Sardegna, dovete prendervi la briga di cercare e di assaggiare. Se amate i sapori più freschi e delicati la ricotta di pecora fa per voi: mille versioni diverse su e giù per l’isola, poiché ogni pastore produce la sua e fare una classifica è impossibile. Ma la ricotta si può anche affumicare: ecco quindi la ricotta mustia o fumada, in vari gradi di stagionatura, perfetta per mille piatti.

sa fresa formaggio sardo
Sa fresa, formaggio vaccino - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Se, invece, siete propensi ai sapori acidi ecco gioddu, frue, casu axedu che sono tutti, più o meno, versioni dell’universale yogurt, e sa casada. Sa casada è il colostro ovino – prodotto dalla pecora nell’immediatezza del parto – scaldato a bagnomaria, dolcificato con zucchero e aromatizzato da scorza di limone; appena coagula, si versa in stampi e scodelle e si consuma freddo. Sempre con il latte di pecora si fa – nel nord Sardegna – la mazza frissa: mentre il latte sobbolle si gettano manciate di semola di grano duro fino a che non si ottiene una sorta di budino. Tra i formaggi vaccini – che sono pochi – non si può non citare la fresa, prodotta nelle zone centrali della Sardegna, dalla caratteristica forma squadrata e bassa, ottima in tutti i gradi di stagionatura; e la peretta, prodotta tradizionalmente in casa dalle donne, a forma di pera (appunto) ottima fresca per le seadas, ma deliziosa anche stagionata. Finiamo in bellezza con quel formaggio (pecorino) che viene preceduto dalla sua fama… e dall’odore: su casu marzu. Odiato o amato, perché vie di mezzo non esistono. Chi riesce ad assaggiare qualcosa che si muove (saltellando con una certa vivacità) si faccia avanti: non è illegale.

Un tour tra le comunità della Sardegna

Abbiamo parlato tanto di Sardegna “vera”, dell’interno, vecchia di millenni e fedele alle proprie radici anche genetiche, ma non dimentichiamo che in Sardegna esistono tre piccole enclave: Alghero (Sassari), Arborea (Oristano) e Carloforte (Sud-Sardegna). E che ognuna ha le sue specialità gastronomiche. Ad Alghero le influenze catalane – evidenti anche nella lingua – si esprimono bene con i crostacei e il pesce: indimenticabile “l’aragosta alla catalana” con pomodoro e cipolla. Ad Arborea, la piccola colonia di profughi veneti e friulani, stabilitisi in Sardegna dopo le bonifiche degli anni Venti e Trenta del XX secolo, ha dato vita a una cucina meticcia che ha nella polenta il suo piatto base, in abbinamento alle specialità sarde. A Carloforte la Sardegna si trasforma in Liguria: trofie, pesto, tonno, biscotti e pani. Tutto ricorda – con grande piacere dei buongustai – che i carlofortini hanno origini liguri e ne vanno orgogliosi.

gallette tipiche Carloforte
Gallette di Carloforte - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

I dolci della Sardegna

Il capitolo finale di questo gran tour potrebbe essere dedicato ai dolci: abbiamo parlato di quelli dedicati al matrimonio, che sono i più belli, ma la Sardegna ha molto altro da offrire in questo campo. Per esempio biscotti di frutta secca come i papassini, tipici del giorno dei morti. O i dolci fatti di formaggio e latticini come seadas, ricottelle, formaggelle, pardulas e ravioli fritti, spesso impreziositi dallo zafferano. O i numerosissimi dolci fritti preparati per il carnevale: dalle frittelle morbide, lunghe o rotonde, fino ad acciuleddi e treccioline di pasta violata. O i dolci con la sapa, tipicamente invernali, poco dolci e che si conservano a lungo. La sapa può essere classica, ovvero di mosto cotto e fatto addensare, oppure di fico d’india, ottenuta con lo stesso procedimento di lunga cottura. O i dolci con le arance: l’aranzada nuorese è una delizia di scorza d’arancia e miele. O ancora sospiri, gueffus, pirichittus e tiriccas, biscottos, pistoccos… e i mostaccioli di Oristano e i culurgiones de sàmbene, ravioli ripieni di sangue di maiale e spezie. Impossibile citarli tutti; quindi, per chi ama i dolci, voglio consigliare un libro: Dolci di Sardegna. Storia e tradizione, edito da Ilisso con bellissime illustrazioni e ricette.

pardulas dolcetto sardo
Pardulas di Milis, Oristano - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Gran Tour Della Sardegna di Aifb: appuntamento sull’isola

Il tempo e lo spazio virtuali concessi al continente-Sardegna per il Gran Tour di Aifb è stato tiranno: avremmo voluto dire molto di più per far conoscere a un pubblico vasto e interessato tutto quello che questa isola e i suoi abitanti possono offrire a sé stessi e ai propri ospiti. Tutto quello di cui abbiamo parlato e gli argomenti che abbiamo approfondito maggiormente con i nostri articoli non dicono tutto. Perché molto altro sul cibo tipico e tradizionale della Sardegna e il suo valore identitario ci sarebbe da dire. Non ci resta che invitare coloro che vogliono andare oltre le (pur meravigliose) spiagge sarde a venirci a trovare fuori stagione; d’inverno per passare una serata davanti al camino, in autunno per godere dei frutti del bosco e di giornate ancora calde; in primavera per girare per la campagna e i borghi alla scoperta oltre che del cibo, di tutti gli inestimabili tesori archeologici, storici e artistici, naturalistici che la Sardegna offre.

Per il Gran Tour della Sardegna si parla di zafferano e della sua Dop



Zafferano sardo in stimmi - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Penultima tappa del Gran Tour della Sardegna:  vi parlo di zafferano. 

Un po' di storia, le curiosità, l'importanza della lavorazione; l'uso nelle cucine comuni e in quelle dei gandi chef, la Dop.

Leggete
https://www.aifb.it/…/g…/sardegna/zafferano-di-sardegna-dop/



**********************************************

Ecco l'articolo:

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Lo Zafferano di Sardegna Dop

La coltivazione del Crocus sativus, da cui si ricava il prezioso zafferano, è praticata in Sardegna fin dal tempo dei Fenici (VIII secolo a.C.). Oggi, grazie anche alla tutela della Dop e al Presidio Slow Food, lo Zafferano di Sardegna Dop ha un grande valore economico, oltre a essere molto amato per il bel colore che dona a paste e dolci ed essere valorizzato dai grandi chef sardi.

Una spezia dai molti usi diffusa nel Mediterraneo e non solo

La coltivazione del Crocus sativus, pianta erbacea dalla quale si ricava lo zafferano, preziosa spezia o droga, sarebbe praticata, secondo diversi studi, fin da prima di quella dei cereali e risalirebbe a tempi preistorici. A Creta (Grecia), nel palazzo di Cnosso è stata ritrovata una pittura murale risalente al 1600 a.C. che raffigura raccoglitori di crochi. Lo zafferano viene citato nella Bibbia e in un papiro egiziano del 1550 a.C. che illustra i suoi usi medici. Ne parlano Omero nell’Iliade, Ovidio nelle Metamorfosi e Virgilio nelle Georgiche tra il I secolo a.C. e il I d.C.; Marco Aurelio (204-222 d.C.) pare facesse il bagno in acque profumate di zafferano.
Tutte queste occorrenze fanno pensare che fosse una droga molto diffusa sia nel bacino del Mediterraneo, sia in Africa settentrionale, sia in Asia Minore e che la si utilizzasse ampiamente per le sue virtù medicamentose e per le sue capacità tintorie. Con la caduta dell’Impero romano e le invasioni dei barbari, che non conoscevano né la pianta né la spezia, la diffusione dello zafferano declinò a occidente ma non a oriente, da dove tornò nei bagagli degli Arabi, che la riportarono in auge quando occuparono il Nord Africa e la Spagna, favorendone il ritorno in tutta Europa.
Nel Medioevo lo zafferano era una sostanza utilizzata quasi esclusivamente a scopi medicinali, e solo nel Rinascimento si cominciò a farne uso in cucina. L’uso in preparazioni mediche decadde solo nel XIX secolo, ma resistette ancora per molti anni nell’ambito della medicina popolare.

Lo zafferano: in Sardegna la tradizione nasce all’epoca dei Fenici

In Sardegna lo zafferano fu introdotto dai Fenici, ma il primo riferimento certo si può trovare – fatto insolito – su una tomba del I secolo d.C. tra le tante ritrovate nell’ipogeo funerario detto Grotta della Vipera, compreso nella vasta necropoli di Tuvixeddu a Cagliari. Cassio dedica ad Attilia, amata moglie, un tenero epitaffio… possa tu rivivere nelle foglie delle rose, dello zafferano profumato, dell’amaranto
Tra il VI e il IX secolo i monaci basiliani ne facevano un uso liturgico. Nel XVI secolo lo zafferano della Sardegna era commercializzato ed esportato, come risulta dai registri doganali del porto di Cagliari, e i campi coltivati a Crocus sativus erano oggetto di compravendita, come si legge su alcuni documenti redatti dal notaio cagliaritano Melchiorre De Silva. Non solo: gli stimmi della pianta (futuro zafferano) erano utilizzati come moneta o, comunque, come preziosa merce di scambio. La coltivazione da allora non fu mai più abbandonata, pur rimanendo molto marginale; è solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che lo zafferano ha assunto un certo peso economico in Sardegna.

Numeri e proprietà

Il mercato europeo dello zafferano muove una cifra vicina ai venti milioni di euro l’anno; la Spagna è certamente il maggiore esportatore e molto dello zafferano venduto in Italia proviene in effetti da lì, ma in Italia lo zafferano viene prodotto in diverse regioni ed è tutto di ottima qualità. La Sardegna è la prima regione italiana per la coltivazione della pianta e la produzione della spezia; circa l’80% dello zafferano è destinato al mercato interno, seguendo una filiera spesso cortissima dal produttore al consumatore; il restante 20% viene destinato ai mercati nazionali ed esteri.
Secondo recenti studi dell’Università di Sassari, in virtù delle condizioni climatiche e della composizione dei terreni, lo zafferano della Sardegna è particolarmente ricco di crocina, picrocrocina e safranale, sostanze a cui sono legati, rispettivamente: il potere colorante; il potere digestivo e il “buon sapore”; il potere aromatizzante. Non solo: lo zafferano contiene sostanze antiossidanti come flavonoidi, antociani e carotenoidi, che hanno un effetto positivo sull’organismo persino nelle minime dosi utilizzate in genere in cucina.

Dal bulbo alla preziosa polvere rossa

Il Crocus sativus si coltiva in Sardegna su una superficie totale di circa 35 ettari; le aziende agricole coinvolte sono circa centocinquanta e la produzione media annua di zafferano pronto per il consumo raggiunge i 400 chili circa. Il ciclo della pianta è poliennale e il metodo di coltivazione è essenzialmente biologico, perché l’uso di sostanze chimiche non solo danneggia irrimediabilmente le delicate piantine, ma è di fatto inutile. Uno dei momenti più delicati di tutto il ciclo produttivo è la raccolta dei fiori, che si concentra in non più di quindici/venti giorni tra ottobre e novembre e deve essere effettuata nelle prime ore del mattino da manodopera specializzata. La successiva operazione di separazione degli stimmi dalle altre parti del fiore è altrettanto delicata e difficile: ci vogliono mani veramente esperte. I pistilli vanno poi lasciati essiccare presso una fonte di calore leggero e costante e il processo dev’essere lento. Per ogni ettaro coltivato (diecimila metri quadrati) si ottengono non più di dieci chili di zafferano essiccato.

fiore di crocus sativus
Fiore di crocus sativus – ©Sardegna Agricoltura

 

Lo zafferano dal Campidano e dalla Marmilla

Se la coltivazione è sempre più diffusa in varie zone della Sardegna da nord a sud, è solo lo zafferano proveniente dal Campidano e dalla Marmilla, e precisamente dai territori dei comuni di San Gavino Monreale, Turri e Villanovafranca, nel Sud Sardegna, che può essere chiamato Zafferano di Sardegna Dop. Nelle campagne di San Gavino e dintorni si produce il 66% di tutto lo zafferano italiano e in questo territorio molto affascinante, sia sotto l’aspetto paesaggistico sia storico, si attiva ogni anno a novembre la possibilità di seguire un percorso culturale e gastronomico intitolato Strade dello Zafferano di Sardegna Dop. È cioè possibile visitare i campi nei sa dìi ‘e su grofu, i giorni della massima fioritura, assistere alla raccolta e partecipare alla degustazione di piatti a base di zafferano e a diversi eventi culturali e informativi organizzati ad hoc.
Lo Zafferano di Sardegna Dop viene venduto solo ed esclusivamente in fili di colore rosso particolarmente brillante e intenso; il che permette di ridurre quasi a zero la possibilità di adulterazioni, purtroppo frequenti nei prodotti polverizzati. La dose consigliata è mediamente di sei stimmi a persona e l’impiego in cucina è praticamente infinito.

ampolle zafferano stimmi
Zafferano sardo confezionato in stimmi  - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Dai malloreddus al gelato d’autore

L’uso tradizionale dello zafferano nella cucina sarda è riservato a dar colore alla pasta come malloreddus e fregula; ad alcuni piatti di carne e ad alcuni dolci con la ricotta o ai fritti di Carnevale. Gli usi più creativi spaziano invece dall’antipasto al favoloso Gelato allo zafferano di San Gavino, gattò di mandorle e miele dello chef stellato Roberto Petza, nato proprio a San Gavino. E lo Zafferano di San Gavino in particolare – oltre la Dop – è Presidio Slow Food con il sostegno dell’Assessorato all’agricoltura della Regione Sardegna. I produttori aderenti al presidio sono attualmente solo tre e San Gavino Monreale è inserita nel breve elenco delle Città dello zafferano italiane.


Bibliografia e sitografia:
Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso, Francesco Antinucci, Laterza, Bari 2016
Slow FoodSardegna turismoSardegna agricoltura

Per il Gran Tour della Sardegna si parla di ravioli, culurgiones e varianti



Lavorazione dei ravioli sardi - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati
 
Pasta ripiena, che passione! Oggi per il Gran tour della Sardegna vi accompagno alla scoperta dei ravioli, alias culurgiones (e tutte le varianti locali del nome), da nord a sud dell'isola. 

Particolarità, specialità, ingredienti e curiosità. 

Leggete

**********************************************

Ecco l'articolo:

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Culurgiones: i ravioli sardi
Culurgiones - Foto per gentile concessone di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Culurgiones: i ravioli sardi

In tutta Italia esistono molti formati di pasta ripiena: di verdure, formaggio, carne. Tutti bellissimi. Quella dei ravioli, o culurgiones, è una tradizione ben consolidata anche in Sardegna, dove la pasta è fatta di semola di grano duro e i ripieni non prevedono mai carne. Uno di questi ravioli, forse il più… particolare, ha di recente ottenuto un marchio importante: i Culurgionis d’Ogliastra Igp.

I ravioli in Sardegna: pasta ripiena dai molti nomi

La pasta ripiena ha, in Italia, una tradizione ben consolidata. Nel XIII secolo ne sono già documentate molte varietà e nel XVI secolo sono diversi i gastronomi che assegnano la palma della miglior pasta ripiena alla Lombardia. Da quel momento in poi vengono codificate le moltissime ricette regionali, che prevedono forme e ripieni diversi, legati al territorio; ecco quindi gli agnolotti, i tortellini, i pansoti, gli anolini, i tortelli… e moltissimi altri. Tutti formati che, però, prevedono le uova tra gli ingredienti della sfoglia e, in epoca moderna, l’uso della farina di grano tenero. In Sardegna, invece, la pasta ripiena nasce dalla semola di grano duro e non è previsto l’uso di uova.
In Sardegna ci sono i culurgiones, chiamati anche, nella meravigliosa galassia delle varianti della lingua sarda: culingionis, culurzones o culingiones, culurjones, gugligliones, purulzoni, puligioni, cruguxionis, culuriones, culixonis. Tutti termini che indicano un pezzetto di sfoglia di forma variabile che racchiude un ripieno di natura e consistenza variabili. I ravioli (o culurgiones) sardi sono infatti di varia natura: dolci e salati e persino un misto dei due sapori.

lavorazione culurgiones
Lavorazione dei ravioli sardi - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

In Sardegna la pasta ripiena ha molti sapori… e persino una santa protettrice

A metà tra il dolce e il salato stanno i puligioni, ravioli tipici della Gallura, splendida zona a nord-est della Sardegna. La pasta è sempre fatta con sola semola, acqua e un pizzico di sale; il ripieno è composto da ricotta di pecora, scorza di limone o arancia e zucchero, ma poi i puligioni vengono serviti con sugo di pomodoro – ovviamente salato – e molto pecorino grattugiato.
In generale, però, i ravioli, la cui sfoglia è sempre e solo di semola acqua e sale, sono ripieni di ricotta fresca o mustia (stagionata e affumicata), o di formaggio pecorino più o meno stagionato, con l’aggiunta o meno di erbette o bietole, erbe selvatiche o prezzemolo. Le dimensioni variano a seconda della zona: quelli tipici di Gavoi (Nuoro) sono ripieni del pregiato Fiore Sardo Dop e sono piuttosto piccoli; nel Sassarese sono ripieni di ricotta di pecora ed erbe e sono decisamente più grandi. In nessun paese della Sardegna i ravioli sono di carne, ma i condimenti possono esserlo; si condiscono con un filo d’olio e molto formaggio, sugo di pomodoro fresco, oppure con del ghisadu, un ragù di carne di manzo o di agnello o di maiale.

culurgiones al sugo
Ravioli sardi di formaggio al sugo  - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Ai ravioli sono dedicate diverse sagre e spesso, praticamente in ogni festa estiva, si può assistere dal vivo alla produzione di enormi vassoi di ravioli, che saranno cucinati e offerti a tutti i presenti. Un evento da non perdere è La notte dei ravioli, che si tiene a Baradili, in provincia di Oristano, dove il 13 luglio si festeggia Santa Mragaida de is cruguxionis, Santa Margherita dei ravioli. Qui, da qualche anno a questa parte, i migliori giovani chef dell’isola si incontrano con le famiglie locali per interpretare i ravioli in modo tradizionale o creativo. Il frutto del lavoro congiunto viene offerto per le strade del paese in un festoso pranzo collettivo.

I ravioli più famosi oggi sono i Culurgionis d’Ogliastra Igp

Oggi i ravioli più famosi di Sardegna sono però i Culurgionis d’Ogliastra Igp. Con il recente ottenimento del marchio Igp la popolarità di questi ravioli è salita alle stelle; si sono moltiplicate le citazioni e le ricette e, in ogni angolo di mondo, cuochi e appassionati si cimentano nella loro preparazione.
La ricetta ufficiale, ovvero quella riportata dal disciplinare, prevede che per la foglia si possa utilizzare un mix di semola e farina, con l’aggiunta di strutto od olio, acqua e sale; per il ripieno sono previste patate, mix di formaggi freschi ovini e caprini, olio di oliva o strutto, erbe aromatiche come basilico o menta, più aglio o cipolla. Il disciplinare prevede anche che, al posto delle patate, si possano utilizzare “fiocchi di patate”: si tratta in questo di un ingrediente destinato alla produzione industriale, non casalinga. La zona d’elezione è, come dicevamo, l’Ogliastra, una delle zone meno abitate e più selvagge della Sardegna, che si trova a est dell’isola, stretta tra il Gennargentu e il Mar Tirreno. La produzione si concentra nei territori di ventiquattro comuni nell’ambito di quella regione storica e di tre comuni nell’adiacente propaggine della provincia di Cagliari.
Ciò che affascina maggiormente nei ravioli ogliastrini è la forma. Sono ravioli piuttosto grandi, molto pieni, panciuti, a forma di goccia, chiusi in modo molto originale tramite una lavorazione della pasta a forma di spiga. La sfoglia, che i più producono con sola semola, acqua e sale, si stende con il matterello; dalla sfoglia si ricavano delle forme rotonde con uno stampo o a mano; su ogni tondo si depone un mucchietto di ripieno. A quel punto si prende il raviolo in una mano e, con pollice e indice dell’altra, si procede a “pizzicare” la sfoglia in modo ritmato e alternato, formando una chiusura/cucitura simile a una spiga di grano.

culurgiones ogliastrini
Culurgiones ogliastrini al sugo - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Non esiste una macchina per questa operazione, che può essere eseguita solo a mano. Non per nulla i culurgionis ogliastrini sono venduti a numero, spesso confezionati in pirottini identici a quelli dei pasticcini. Il ripieno prevede, oltre alle patate locali, anche un formaggio fresco a sua volta tipico dell’Ogliastra, il casu ‘e fittas – che è senza crosta, bianco e non salato (anche se si conserva in salamoia) e si produce con latte di pecora, di capra o con entrambi – un po’ di aglio, un pizzico di sale e il tocco particolare: la menta fresca. Il condimento è semplice, mai di carne.
Molti cuochi sardi hanno in questi anni reinterpretato i culurgionis ogliastrini: li hanno proposti senza formaggio per poterli abbinare con sughi o brodetti di pesce; li hanno fatti fritti, anziché lessarli come comunemente si fa o, addirittura, li hanno cotti sulla griglia. Alcuni hanno aggiunto zafferano o nero di seppia alla pasta per ottenere effetti cromatici particolari. Tutte versioni da provare almeno una volta.


Per la foto di copertina ringrazio l’amica e maestra di pasta Claudia Casu, che presenta i suoi culurgionis vicino ai piatti dipinti a mano dell’artista Gabrielle Schaffner.

Bibliografia e sitografia:
La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Serventi – Sabban, Laterza, Bari 2000Treccani, Sardegna Agricoltura: – prodotti tipiciIgp e Dop

Per il Gran Tour della Sardegna si parla di Carciofo Spinoso Sardo Dop



Carciofo spinoso Sardo (Sennori) - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Il carciofo è coltivato in Sardegna da millenni. 

Dagli orti famigliari alle coltivazioni intensive e redditizie il passo è stato lungo, ma la tutela del marchio Dop, ottenuto per il Carciofo Spinoso nel 2013, ne ha fatto una delle voci in attivo dell’economia isolana. Carciofo sardo: un po’ di storia I carciofi vengono coltivati in Sardegna molto probabilmente dal tempo dei Fenici


Leggete

https://www.aifb.it/…/…/il-carciofo-spinoso-di-sardegna-dop/


**********************************************

Ecco l'articolo:

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Il Carciofo Spinoso di Sardegna Dop
Carciofo spinoso sardo (Sennori)  - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Il Carciofo Spinoso di Sardegna Dop

Il carciofo è coltivato in Sardegna da millenni. Dagli orti famigliari alle coltivazioni intensive e redditizie il passo è stato lungo, ma la tutela del marchio Dop, ottenuto per il Carciofo Spinoso nel 2013, ne ha fatto una delle voci in attivo dell’economia isolana.

Carciofo sardo: un po’ di storia

I carciofi vengono coltivati in Sardegna molto probabilmente dal tempo dei Fenici (VIII secolo a.C.); si può bene dire che, insieme alle diverse varietà di cardi selvatici – botanicamente parenti –, caratterizzino da sempre il paesaggio sardo delle zone pianeggianti, in particolare vicino alla costa. Fino agli anni Venti del XX secolo la coltivazione era limitata agli orti famigliari; oggi gli ettari destinati alla sua coltivazione sono quasi novemilacinquecento con una produzione media per ettaro vicina ai 75 quintali.
Nel XVIII secolo il noto studioso sassarese Andrea Manca dell’Arca cita i carciofi nei suoi scritti in particolare per le virtù digestive e, pochi decenni dopo, Vittorio Angius (1797-1862) dice che i carciofi hanno un certo peso economico per le famiglie che li coltivano. È solo nel 1929 però che i registri catastali e agricoli evidenziano l’inizio di una produzione intensiva, destinata al mercato locale ma soprattutto all’esportazione “in continente”.

campo di carciofi ittiri
Paesaggio con campo di carciofi presso Ittiri, Sassari - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Carciofo Spinoso di Sardegna Dop: caratteristiche, gusto e benefici

I carciofi sardi sono spinosi, della specie botanica Cynara scolymus e la varietà più diffusa è quella Bosana, tipica cioè di quella zona ricca di acque lungo il fiume Temo – l’unico fiume navigabile sardo che sfocia in mare presso la splendida Bosa  – che viene coltivata nella zona di Sassari, da Alghero a Porto Torres alla valle del Coghinas; nel Sinis (Oristano); nel Sulcis; nel Campidano a sud dell’isola. I mercati più redditizi, oltre a quello interno, sono le piazze di Milano e Torino, dove i carciofi sardi sono molto richiesti e, soprattutto quando si parla di “primizie”, venduti al dettaglio a prezzi decisamente elevati. Val la pena sottolineare a questo proposito che il carciofo sardo è molto deperibile e delicato: meglio acquistarlo intero, non già mondato o privato delle spine e bisogna accertarsi che le foglie siano croccanti e il gambo ben rigido.
Il Carciofo Spinoso di Sardegna Dop è molto richiesto perché particolarmente pregiato: ha un profumo intenso, che continua a essere percepibile anche dopo il taglio e la mondatura. Ha un sapore deciso e il caratteristico gusto amaro si bilancia bene con la dolcezza di questa cultivar. Le foglie, quelle del cuore in particolare, sono molto tenere e succulente; si possono mangiare anche i gambi. Oltre a queste caratteristiche percepibili all’assaggio, sono le proprietà organolettiche a rendere prezioso il Carciofo Spinoso di Sardegna Dop in termini nutrizionali. Ha pochissime calorie e contiene molta acqua; le fibre solubili sono mucillaggine, pectina e inulina, che svolge una importante funzione prebiotica, ovvero incentiva la formazione di una flora intestinale attiva e sana.

carciofo spinoso dop
Carciofo Spinoso di Sardegna Dop in primo piano - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Non solo: anche le molte fibre insolubili sono importanti poiché riducono il tempo di assorbimento delle sostanze grasse e degli zuccheri nell’intestino. Contiene potassio, sodio, magnesio, calcio, ferro e acidi organici utili a regolare il pH del sangue. I polifenoli, tra cui la famosa cinarina, si trovano nel Carciofo Spinoso di Sardegna Dop in una quantità pari o superiore a 50 mg per 100 grammi di prodotto fresco e aiutano le secrezioni biliari del fegato, quindi una corretta eliminazione di colesterolo e acido urico. Un altro componente, l’acido clorogenico, inibisce la formazione di glucosio endogeno. Tutte caratteristiche che, intuite fin dall’antichità, oggi sono ampiamente accertate e riconosciute dalla medicina.

Il carciofo: versatilissimo in cucina

Se il carciofo sardo fa bene alla salute non resta che mangiarlo! Possibilmente al culmine della stagione, ovvero da dicembre a marzo/aprile, e in tutti i modi possibili. L’abbinamento a crudo con uno degli ottimi oli extravergini sardi è la soluzione più semplice e permette di assaporare tutte le sfumature di sapore del prodotto fresco (gambi compresi). Se poi si aggiungono sottili fettine di bottarga di muggine e una spruzzata di succo di limone l’antipasto è risolto.

carciofaia carciofo spinoso dop
Una carciofaia presso Valledoria, Sassari - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


La cottura altera leggermente il colore brillante del carciofo sardo, ma, di contro, lo rende più tenero e ne esalta la dolcezza; con olio, aglio, vino bianco e prezzemolo si può preparare un ottimo contorno. Un altro abbinamento perfetto è quello con la fregula e lo Zafferano di Sardegna Dop (di cui parleremo in un prossimo articolo) in una sorta di minestra semibrodosa. Sono ottimi anche il risotto con i carciofi; la minestra con pane raffermo e carciofi; gli gnocchetti con ragù di agnello e carciofi; il pane zichi – tipico di Bonorva, in provincia di Sassari – con i carciofi. Sono da provare assolutamente i carciofi tagliati in quarti e fritti in olio di oliva con tanto di gambo.
Tradizionali e amatissimi sono poi alcuni piatti forti, come la panadas con i carciofi; agnello e carciofi o, in versione vegetariana, carciofi e patate: un vero banco di prova per chi voglia definirsi una buona cuoca sarda. Un altro modo per gustare il meraviglioso sapore del carciofo Spinoso di Sardegna Dop è quello di conservare capolini teneri e gambi sott’olio, ovviamente applicando le dovute precauzioni igieniche.

carciofo spinoso dop in cesto
Carciofi Spinosi di sardegna Dop in un cesto tradizionale - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati

Carciofo Spinoso di Sardegna Dop: il Consorzio e le sagre

Esiste un Consorzio di tutela del Carciofo Spinoso di Sardegna Dop, che è un organismo senza scopo di lucro che controlla l’intera filiera produttiva e commerciale. Vi aderiscono produttori, confezionatori e trasformatori e la sede è a Santa Maria Coghinas, in provincia di Sassari. E c’è anche la possibilità di partecipare a bellissimi eventi legati al carciofo: in primavera a Ittiri (Sassari) e a Samassi (Sud Sardegna) si tengono due rinomate e frequentatissime sagre durante le quali è possibile assistere a conferenze, partecipare a degustazioni e assaggiare piatti a base di carciofo, dall’insalata al gelato.


Bibliografia e sitografia:
Andrea Manca dell’Arca. Agricoltura di Sardegna, Cuec, 2005 Cagliari
Sardegna agricoltura – prodotti tipici



Per il Gran Tour della Sardegna parliamo di pani speciali, rituali, delle feste, identitari



Pani decorati tradizionali di Paulilatino - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati 
 
Per il Gran Tour della Sardegna di Aifb un articolo molto importante. 

Si tratta di quello sui pani rituali scritto dall'amica e collega blogger Natascia Mura (alias Natalie Moore). Un viaggio bellissimo alla scoperta del significato profondo del pane, del suo valore e dei suoi legami indissolubili con la cultura più vera della Sardegna.

Leggete

**********************************************

Ecco l'articolo:

Gran tour d’Italia, la Sardegna: la cultura del pane

La Sardegna è una terra antica, intrisa di storia e simboli arcaici ancora inesplorati e misteriosi e, soprattutto, è un’isola, lontana dal continente cui appartiene. Queste caratteristiche le hanno permesso di evolversi “a modo suo”, nel bene e nel male, mantenendo una distanza fisica e temporale con il resto d’Europa. Un retaggio prezioso della storia millenaria e dell’isolamento è proprio la cultura del pane, comune a nessuna altra regione italiana: fitta, ricca e variegata, che si esprime in una moltitudine di ricette, forme, usi e costumi diffusi in tutta l’isola, da nord a sud.

Il pane in Sardegna: cultura e valore comunitario

La panificazione domestica – perché di domestica si tratta se parliamo di reale lavorazione e cultura del pane, per una serie di cure e tempistiche che su larga scala vengono inevitabilmente perse – è praticata in tutti i paesi del Mediterraneo e in Sardegna nasce sicuramente durante l’età nuragica (1800 a.C. circa): sono stati infatti trovati forni, utensili e resti di impasto fossilizzato in alcuni nuraghi. In ogni paese, in ogni piccolo villaggio la gente ha continuato ininterrottamente a panificare tramandando fino ai giorni nostri ricette e consuetudini. Altre ricette sono andate perse perché il desiderio di tenerle segrete per proteggerle, le ha in realtà fatte dimenticare, travolte dalla velocità del nuovo millennio. La panificazione tradizionale che sopravvive oggi si distingue in due grandi categorie: i pani quotidiani – che raggiungono comunque una cifra a due zeri – e i pani preparati per le feste, i cosiddetti pani rituali, anche questi moltissimi, con nomi che variano da zona a zona e, a volte, da quartiere a quartiere.
Cercare di distinguere l’impronta magico-spirituale di certi tipi di pane dalla loro descrizione puramente tecnico-narrativa è impossibile. Già le due sole materie prime utilizzate, cioè l’acqua e il grano, sono archetipi ben precisi, fortemente legati a riti sacri arcaici; basti pensare ai numerosi pozzi sacri e fonti diffuse nell’isola, o a piccoli rituali scaramantici e mistici che ancora si praticano utilizzando acqua e chicchi di grano. La terra, il grano e l’acqua, gli elementi preziosi che la natura benevola donava all’uomo, venivano onorati con riti devozionali a ogni ricorrenza con la preparazione del pane in tutte le sue forme.
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati



Anche nella panificazione ordinaria si ritrovano una sacralità e un rispetto antichi per i gesti obbligatori e semplici che hanno sempre accompagnato impasti, lievitazioni e cotture. Il divieto di tagliare gli impasti con lame di metallo (si deve usare un attrezzo di legno); il segno della croce inciso sulle pagnotte e ripetuto prima di infornare; la gelosa custodia lontano da occhi potenzialmente “infausti” dei pani in lievitazione; la fiducia nel potere curativo della farina che cade dal pane appena uscito dal forno; l’importanza del telo che aveva avvolto e protetto gli impasti in fase di maturazione… sono solo alcuni dei rituali tradizionali legati a questa preziosa arte antica.
La sacralità di questa attività emerge e spicca anche nella gran varietà di pani prodotti in occasione di feste popolari, pagane, religiose, familiari e locali. Abbiamo pani per festeggiare la Domenica delle Palme a forma di palma da appendere sopra la porta; quelli per la Pasqua, chiari, bianchi, decorati generalmente con piccoli ricami e sforbiciate e con un uovo intero inserito nella pasta; quelli per il Natale, il Capodanno, la nascita, la morte, la mietitura, preziosissimi ed elaborati; quelli per  il matrimonio, che prevedevano un enorme lavoro da parte delle famiglie degli sposi. Questi ultimi venivano prodotti in svariate forme, con valenze maschili e o femminili a seconda delle molteplici tradizioni, ed era d’obbligo l’utilizzo di su trigu nou (il grano fresco) e di farina appena molita, particolarmente profumata.
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati


Il pane come ritualità e arte

La panificazione ha sempre avuto un senso sociale, comunitario. Il pane – inteso come base dell’alimentazione – si conosceva e si preparava con semplicità e naturalezza, affidato alle donne dei paesi, che, in occasione delle feste, si prodigavano nell’arte di plasmare un cibo semplice e fondamentale dandogli forme simboliche perché comunicasse devozione, buoni auspici e gratitudine o veicolasse una preghiera, un voto.
Alcuni di questi pani vengono impastati senza lievito, perché la lievitazione ne cambierebbe forma e misure in cottura; questo perché molti hanno un ruolo artistico, sono delle vere e proprie sculture elaboratissime, pura manifestazione d’arte per un pubblico che era ed è la comunità stessa. E ogni comunità riconosce il proprio tipo di pane rituale. Esistono coroncine, simboli di fertilità, fiori e spighe, uccelli, gallinelle, trecce, grappoli d’uva e molte altre forme e decori che non hanno mai la stessa valenza. Impossibile definire ed etichettare tutti; si rischia sempre di dimenticarne qualcuno, oppure di non descriverlo abbastanza.
 
Pani decorati tradizionali - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati



La panificazione in Sardegna è veramente cultura, reale, profonda, non raccontabile del tutto. Ogni museo della regione custodisce diversi esemplari di pane rituale; ogni massaia riesce a convincervi che quello che si fa nella sua famiglia è il vero e tradizionale “formato antico”. Bisognerebbe andare per paesi e provare a lavorare con le rotelle seghettate, le forbicine e i piccoli coltellini artigianali insieme alle donne del luogo per poter capire e imparare (e io l’ho fatto diverse volte): varrebbe come aver letto un intero saggio sul tema. Paese per paese però. E sarebbe comunque una piccolissima parte.
Parlare di pane per me significa riflettere su alcune consapevolezze e saperi propri della mia famiglia, dei paesi da cui proviene, di persone che ho intervistato negli anni e di maestre di panificazione incontrate nella mia regione. Posso tuttavia consigliare la lettura di alcuni testi che arricchiscono e ricalcano quanto raccontato, come il bellissimo Pani edito da Ilisso di Nuoro, che custodisce un ricco archivio e la migliore raccolta fotografica sul tema, e altri due libri che ho letto di recente come

Bibliografia e sitografia:

La preziosa fatica del pane di Speranza Puggioni, edito da Domus de Janas, e La madre del pane di Giovanni Antonio Farris e Manuela Sanna di Carlo Delfino Editore.
Testo di Natascia Mura, foto di Cristiana Grassi
Blog di Natascia Mura: www.robadanatti.com
Blog di Cristiana Grassi: orataspensierata.blogspot.com