Torta di ricotta, arance e farina di castagne



La torta di ricotta è attesissima. Attesissima perché, giustamente, la ricotta ha una “stagione” e inizia a essere veramente buona solo verso fine novembre, quando le pecore riprendono la produzione di latte dopo aver nutrito i loro cuccioli nati in autunno e aver brucato quell’erba nuova che cresce dopo le piogge che – finalmente – dissetano la terra dopo il caldo dell’estate sarda. La mia torta di ricotta è attesissima anche perché non è mai la stessa; riserva ogni volta qualche sorpresa perché si presta a moltissime varianti. 

La preparo semplice; con limone e zenzero; con cioccolato e mandorle... Questa volta è con arance e farina di castagne e granella di cacao tostato. Le arance utilizzate vengono dalla campagna di un amico: sono piccole, non dolcissime, ma molto profumate e succosissime; hanno la scorza sottile e ben si prestano a questo uso. 

Se avete arance grandi e con scorza spessa, vi consiglio di usarne solo due in totale e di privare quella che andrà affettata della scorza, prima di passarla in padella con lo zucchero. La granella di cacao tostato è un prodotto che ho scoperto di recente – acquistandolo da VAICACAO, una giovane impresa di Olbia che mi ha convinto da subito – e che ho già utilizzato in altre ricette. Non si scioglie in cottura, perché è puro cacao, ma regala alla torta di ricotta una nota aromatica e uno spunto croccante davvero ottimo.


Per 8 persone:

200 g di ricotta ovina fresca
150 g di zucchero di canna + 2 cucchiai
100 g di semola rimacinata fine
100 g di farina di castagne
2 uova
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
4 arance piccole, non trattate
30 g di granella di cacao tostato Vaicacao

15 g di lievito per dolci
aceto di mele

Separare i tuorli dagli albumi. Spremere 2 arance e tagliare le altre 2 a fette sottili, dopo aver ben lavato la scorza. Setacciare la ricotta. Setacciare insieme la semola, la farina di castagne e il lievito.

Accendere il forno e portarlo a 180° in modalità non-ventilato e imburrare e infarinare una tortiera quadrata di 20 cm circa di lato, o una rotonda da 22 centimetri di diametro.



Montare con una frusta (a mano o elettrica) i tuorli e lo zucchero in una ciotola. Aggiungere via via: la ricotta, il succo delle arance filtrato, l’olio; la granella di cacao passando a mescolare con una spatola di silicone.

Unire poco per volta le farine – setacciandole ancora – e amalgamare bene.

Nel frattempo disporre le fette di arancia sul fondo di una padella larga abbastanza da contenerle tutte; cospargerle con i due cucchiai di zucchero di canna e lasciarle leggermente caramellare su fiamma dolce girandole una sola volta. Allontanare dal fornello e lasciar raffreddare.

Montare a neve ben ferma gli albumi aggiungendo mezzo cucchiaino da caffè di aceto di mele; quindi aggiungerli al composto con delicatezza.



Sistemare le fette di arancia sul fondo della tortiera cercando – se possibile – di formare un disegno e comunque senza sovrapporle in alcun modo.

Versare il composto sulle arance a cucchiate in modo uniforme e, se occorre, livellarlo prima di infornare. Cuocere per 45 minuti sul ripiano centrale del forno.

Aprire il forno, attendere una decina di minuti, quindi sformare la torta ribaltandola, in modo da servirla con le fette di arancia in vista.

Servire fredda. Ottima (se ci arriva...) anche il giorno dopo.





Hummus: spunti e divagazioni



Oggigiorno tutti conoscono l’hummus, per averlo assaggiato durante un viaggio, o in un “ristorante etnico o di cucina fusion. Si tratta di una crema di ceci e di pasta di semi di sesamo con olio, aglio, limone e spezie. Le versioni però sono moltissime; non esiste una sola ricetta e le personalizzazioni sono infinite. 

La diffusione poi è vasta: dall’Egitto al Libano – dove si dice sia nato – attraverso Turchia, Siria, Giordania, Palestina...  Climi e tradizioni diverse, diverso uso delle spezie.



Molti credono che prepararlo sia una cosetta da nulla; si apre un barattolo di ceci precotti e li si frulla nel bicchiere del mixer insieme con tutti gli altri ingredienti. Ma, in realtà, se l’hummus è preparato con materie prime di ottima qualità e con un procedimento lento il sapore cambia. Eccome. Se, poi, con il tempo e la pratica, si stabilisce, attraverso il proprio gusto, il giusto equilibrio tra il limone e la salsa di sesamo, tra la quantità di aglio e quella della propria miscela di spezie preferite... non si riuscirà più a farne a meno.  

Per le proporzioni un’ottima guida è la ricetta a pagina 151 del bellissimo libro Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese, edito da Stampa alternativa nel 2016 (ne parlo diffusamente qui, se volete dare un’occhiata). 



Proprio perché di “spunti” si tratta e perché le ricette in rete sono praticamente infinite, non scriverò qui una lista degli ingredienti e una prescrizione, ma darò alcuni consigli.  

I ceci devono essere di ottima qualità; vanno messi a mollo, in abbondante acqua pulita, in una grande ciotola, 24 ore prima dell’uso (in questo modo si riducono i tempi di cottura) e successivamente lessati fino a che non siano teneri – ma non disfatti! – in acqua con sedano, carota e cipolla e niente sale.

I limoni da utilizzare devono essere freschi, sugosi e il succo va filtrato; l’olio è meglio che sia un buon extravergine di oliva.

I semi di cumino – se li usate – vanno pestati nel mortaio, non frullati e le altre spezie – io, per esempio, aggiungo il fieno greco – vanno aggiunte pian piano, assaggiando. Anche la quantità di pasta di sesamo (tahine) da aggiungere è soggetta al gusto personale. L’aglio va comunque crudo; se ha il germoglio centrale bisogna eliminarlo.



La decorazione finale prevede in genere alcuni ceci interi e prezzemolo tritato. Un’ultima cosa, che è molto importante: hummus è una parola araba che significa ceci: quando si dice hummus si intende perciò sempre comunque e solo ceci con tahine, limone, aglio e spezie; la parola non indica altre salse a base di altri legumi come fave, lenticchie o fagioli.




Crema di topinambur


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Una pianta grande, esuberante, con fiorelloni gialli dallo stelo lungo e un po’ rigido e dalle foglie scabre: l’Helianthus tuberosus. Un tempo fioriva in settembre ai margini degli orti o dei campi incolti, o lungo i canali, oggi – per colpa o per merito – del cambiamento generale del clima, è molto più diffuso, anche in parchi e giardini, e ha una vita decisamente più lunga.




L’Helianthus, che con i suoi fiori regala una vivace macchia di colore a molti paesaggi, oggi fiorisce dalla fine dell’estate fino a ottobre inoltrato e, in seguito, vive la sua seconda vita da ortaggio, perché se ne possono consumare i bulbi. 

In questa veste ha molti nomi comuni; dal più diffuso topinambur (o topinanbour alla francese) a carciofo di Gerusalemme (artichaut de Jérusalem, Jerusalem artichoke); da rapa tedesca a tartufo del Canada, oltre a tutti i nomi locali e dialettali. Questo a conferma della sua grandissima diffusione. Il sapore è del tutto particolare: un po’ dolce, vagamente simile al carciofo, mai terroso; la consistenza, una volta cotto, è pastosa. 

Il topinambur si può consumare anche crudo in insalata, ma è in creme e zuppe che dà il meglio di sé. Un modo simpatico di portarlo in tavola è quello di camuffarlo da patatina fritta: affettato sottile può essere fritto o cotto in forno. Tra l’altro ha anche buone qualità nutritive; contiene inulina, che è un carboidrato non disponibile (cioè non digeribile dagli enzimi prodotti dall'organismo umano) che migliora la flora dell’apparato digerente e aiuta a ridurre la quantità di colesterolo presente negli altri alimenti. Non per nulla ne viene consigliato il consumo per ridurre i grassi nel sangue e nelle diete per il controllo del peso. 





Per 4 persone:



700 g circa di topinambur

200 g circa di patate novelle

1 l circa di brodo di pollo

½ cipolla bionda piccola

1 spicchio d’aglio

1 cucchiaio di yogurt intero (tipo greco)

2 cucchiai d’olio extravergine di oliva

1 piccola noce di burro

sale, pepe bianco



2 bulbi di topinambur

spezie miste in polvere

sale

olio extravergine di oliva



Sbucciare i topinambur è difficile, lungo, laborioso; sono bitorzoluti, irregolari e tutti di dimensioni diversa. Soluzione? Non sbucciarli. Immergere i tuberi in una bacinella di acqua tiepida per una mezz’ora subito prima di utilizzarli (non farlo il giorno prima, per esempio, perché sono molto delicati e rischiano di rovinarsi), aggiungendo eventualmente un cucchiaio di bicarbonato. Sfregarli un poco tra loro con le mani, quindi sciacquarli e procedere a spazzolarli energicamente con uno spazzolino piccolo e rigido sotto l’acqua corrente.



Procedere allo stesso modo con le patate novelle che, ugualmente, non vale la pena sbucciare e che si possono tranquillamente consumare con tutta la buccia.





Tagliare a piccoli pezzi entrambe le verdure tenendole separate. Cuocere brevemente i topinambur in acqua leggermente salata e scolarli “al dente”.



Scaldare il brodo di pollo, tritare aglio e cipolla. Scaldare olio e burro in una casseruola per minestre, aggiungere il trito di aglio e cipolla e lasciarlo appassire a fuoco dolce. Unire i topinambur e le patate. Ricoprire di brodo già bollente e portare a completa cottura i tuberi rimestando spesso e avendo cura, man mano che diventano teneri, di schiacciare i pezzi con il dorso del cucchiaio di legno.



Nel frattempo affettare sottilmente un paio di tuberi, scelti tra quelli più regolari, e disporli sulla placca del forno rivestita con carta forno. In una ciotolina fare un’emulsione di olio, sale e un pizzico di spezie in polvere – tipo Ras el hanout, Za'atar o garam masala secondo i vostri gusti – e spennellare le fettine. Infornare a temperatura elevata (forno ventilato) fino a che le fettine non saranno ben dorate e croccanti. Tenerle al caldo.





Quando le verdure saranno completamente cotte allontanare la casseruola dal fuoco, aggiungere lo yogurt, regolare di sale e pepe e passare il tutto con il frullino a immersione fino a ottenere una crema liscia.



Versare la crema nei piatti individuali, disporre alcune fettine speziate sulla superficie di ognuno e servire immediatamente. Le altre fettine potranno essere portate in tavola in una ciotola e consumate a parte.






Risotto con Gorgonzola e funghi cardoncelli


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L’autunno è, secondo me, il periodo ideale per i risotti. Funghi, formaggi un po’ grassi che d’estate è meglio evitare, zucca, salsiccia fresca, verdure saporite della famiglia dei cavoli, ma anche pere e mele... insomma: un sacco di gustosi matrimoni possibili con il riso delle varietà migliori.






Per 2 persone:



120 g di riso varietà Carnaroli – io ho usato il Carnarolis di RisOristano

100 g circa di Gorgonzola Dop molto morbido del tipo dolce

6 funghi cardoncelli grandi, freschissimi e ben sodi

½ cipolla bionda di medie dimensioni

4 cucchiai di olio extravergine di oliva

50 g circa di burro

1 spicchio d’aglio

prezzemolo fresco appena tritato

¼ di bicchiere di vino bianco secco



1 l abbondante di brodo vegetale

sale, pepe bianco



Mondare i funghi e tagliarli a pezzi regolari. Farli saltare in padella con 2 cucchiai d’olio e 1 spicchio d’aglio spellato e leggermente schiacciato. Dopo circa 2 minuti spegnere e tenere da parte eliminando l’aglio.



Riscaldare il brodo vegetale e portarlo a leggero bollore; dovrà mantenerlo per tutto il tempo.





In una casseruolina dal fondo spesso scaldare 2 cucchiai d’olio e aggiungere circa la metà del burro; appena sarà sciolto unire la cipolla tritata finemente. Farla appassire dolcemente per qualche minuto. Quindi gettare il riso, alzare la fiamma e farlo tostare per un paio di minuti. Bagnare con il vino bianco secco, che deve completamente evaporare.



Rimestare continuamente aggiungendo un paio di mestoli di brodo. Far cuocere a fiamma moderata aggiungendo via via altro brodo per circa 10 minuti. A quel punto aggiungere i funghi e portare a termine la cottura (circa 15/17 minuti in totale) aggiungendo brodo quando serve.



Assaggiare, allontanare il riso dal fornello, aggiungere l’altra metà del burro, tutto il Gorgonzola e il prezzemolo tritato. Mescolare bene fino a che non sia tutto ben amalgamato. Se occorre aggiungere ancora un cucchiaio di brodo bollente.





Completare con un pizzico di sale – solo se occorre – e del pepe bianco macinato al momento. Servire immediatamente. 


L'Orata Spensierata per Carrelas - Le vie del gusto - Pasta Weekend, 27 e 28 ottobre 2018, Sassari



A volte le esperienze più belle germogliano un po’ per caso e fioriscono mesi dopo con un’energia inaspettata. È successo esattamente così con Carrelas – Le vie del gusto e la sua prima edizione, battezzata Pasta Weekend, che si è tenuta sabato 27 e domenica 28 ottobre 2018 a Sassari.

In pieno centro, a metà strada tra la parte ottocentesca e più elegante della città con la sua monumentale piazza d’Italia e il centro storico di impianto medievale; proprio sotto quell’edificio sgraziato che noi sassaresi chiamiamo “il grattacielo”; davanti e a fianco di alcune tra le botteghe storiche più belle della città, c’è una gelateria di recente apertura: Crema e Cioccolato.



Un locale elegante, con una bella sala dal soffitto altissimo dalle grandi finestre, perfetta per l’organizzazione di eventi; con gestori giovani e dinamici, desiderosi di... andare oltre il cono di gelato, di dare il proprio contributo alla vita della città ospitando eventi culturali. E poiché per tutti noi il cibo è cultura, abbiamo deciso di organizzare una manifestazione della durata di due giorni legata al cibo. 



 



Il resto è venuto da sé: ho steso una rete, ho scomodato amici e conoscenti, ho interpellato negozianti del centro e produttori della zona e, pian piano, il tutto ha preso forma. Il motore principale è stato però la presenza in Sardegna dell’amica Claudia Casu del Sardegna Cooking Studio. Claudia è una maestra dell’arte della pasta sarda (potete conoscerla meglio leggendo le due interviste che mi ha concesso nell’ultimo anno per il sito di Maria Laura Berlinguer e per Mediterraneaonline) e una bravissima insegnante; una donna giovane e infaticabile che desidera tener vivo il patrimonio grande e vario della pasta tradizionale della Sardegna.





E suo è stato subito lo spazio di domenica 28 ottobre: tre ore intense di laboratorio di pasta per realizzare lorighittas (qui maggioriinfo), culurgiones (vedi qui) e un nuovo formato di pasta: i Gravellus.

Con il pranzo comune a seguire.

Il sabato, invece, protagonista è stata la pasta essiccata prodotta industrialmente, cucinata in modo creativo, ma tecnicamente perfetto, dal cuoco e docente di cucina Gianfranco Pinna. Gianfranco ha portato con sé una fantastica attrezzatura per preparare ben quattro differenti tipi di pasta – lunga, corta, sottile, larga – in quattro modi diversi, mostrando trucchi e tecniche in modo chiarissimo a un pubblico attento e partecipe.





La cosa che mi ha reso più felice è stata la grande disponibilità degli sponsor: la lezione sulla pasta essiccata di sabato 27 ottobre è stata possibile grazie all’interessamento del rappresentante commerciale regionale per la Sardegna di Pasta Armando, il quale ha messo a disposizione non solo la pasta per la lezione, ma ha anche offerto graditissimi omaggi a tutti i corsisti. Andate a vedere il sito di Pasta Armando e scoprirete un sacco di cose interessanti.






La lezione di domenica 28 ottobre ha potuto contare su una materia prima di eccellenza: la semola del Molino Galleu di Ozieri (Sassari). Semola di grano duro prodotto esclusivamente in Sardegna, con una filiera controllata e una lavorazione attentissima. Andate assolutamente a dare un’occhiata al sito: scoprirete che presso il Molino Galleu esiste anche un museo e che le iniziative che da lì partono per la valorizzazione del patrimonio gastronomico sardo sono tante e meravigliose.







Il pranzo comune della domenica è stato reso speciale non solo dalla soddisfazione di potere gustare immediatamente il frutto del proprio impegno durante il laboratorio, ma anche dalla presenza dell’altro importante sponsor di Carrelas – pasta Weekend: la Cantina 1Sorso di Sorso (Sassari). Il titolare è stato con noi gran parte delal mattinata e ci ha presentato, oltre al Cannonau, già bandiera dell’azienda, il nuovo nato della cantina: il Moscato Millenovecento64. 


Non solo: salumi e formaggi sono stati offerti da una delle botteghe storiche sassaresi, la Salumeria Mangatia; il buonissimo pane impastato con lievito madre del panificio Cherchi di Olmedo (Sassari) è stato offerto da La Salumeria da Adelaide.





Tutto ciò che è servito per il Pasta Weekend di Carrelas - dai grembiuli ai quaderni, dall’olio ai pomodori, dal formaggio alla salsiccia, dalle matite ai matterelli - è stato acquistato nelle botteghe del centro storico e dagli agricoltori e produttori dei dintorni della città.