Avventurarsi in Marmilla

 

Va bene, avventurarsi in Marmilla nel giorno (per ora…) più caldo dell’anno forse non è stata la mossa più furba. Ma, in un certo senso, vedere i vigneti della tenuta Su’entu immersi nei 39 gradi di una fine mattinata di luglio, con la polvere che si alza – sospinta da un vento che non esito a definire bollente – sulla strada bordata di vecchi e affascinanti ulivi, fino alla sommità della collina dove si trova la Cantina è stata un’esperienza.

 



Un’esperienza che fa molto vera-Sardegna. Noi la Sardegna la sopportiamo così, con una certa fatalità. Al netto dell’innegabile cambiamento climatico, nelle regioni interne dell’isola il superamento dei +40/41 gradi per cinque, sette giorni all’anno –  tipo ieri, per dire –  è un evento ricorrente (pare che nel 1965 ci siano già state punte di 43 gradi) e quindi noi, animali umani e non, ci acquattiamo, cerchiamo di renderci invisibili in qualche pozzanghera d’ombra e aspettiamo il Maestrale.

 



Che ieri non è arrivato. E invece noi a Sanluri ci siamo arrivati, siamo saliti sulla collina, abbiamo visto la bellissima cantina, i vigneti solo dal finestrino e poi ci siamo seduti a pranzare nella luminosa sala di Arieddas, il ristorante nato da una costola della Cantina Su’entu in quei locali che furono la casa delle botti, oggi recuperati in maniera elegante e originale. Lo spazio esterno ce lo godremo la prossima volta, in autunno. Inoltrato.

Anche il menù, scelto dalla cucina, a cui ci siamo affidati, è stato originale. Materie prime chiaramente locali – in Marmilla non manca nulla – utilizzate in maniera non banale; dall’anguria grigliata al gelato di latte di pecora. Peccato non avere avuto il coraggio di abbinare un vino diverso a ogni piatto. Troppo caldo. Ma un (calice di) Su’bri, lo spumante brut bianco; un Su’di terra, Bovale di Marmilla Igt, e un Su’luci, passito Isola dei Nuraghi Igt, ci sono passati lisci lisci. Il minimo indispensabile, insomma, quando si va a pranzo in una delle più rinomate cantine dell’isola.

 



Il castello di Sanluri – unico “vivo” e ancora abitato della Sardegna – è visitabilissimo ed è davvero molto bello, ma, avendolo già visto altre volte in passato, non ci siamo arrischiati: ricordo il cortile interno, ombroso e accogliente, ma ho giudicato che anche lì le temperature sarebbero state eccessive. Ma passateci, che ne vale la pena, così come vedere il retablo medievale di Sant’Anna dentro la parrocchiale di Santa Maria. Inutile poi ricordare il pane: il civraxiu di Sanluri ha anche una pagina Wikipedia tutta sua.

 


Flognarde di frutta mista con la ricetta “perfetta”


 

Il clafoutis, o la flognarde (la differenza la fanno le ciliegie: leggete questo vecchio post), è un dolce semplice, di quel tipo che si definisce “de maison”.

 

Ovvero di quelli che ha mille sfumature, di quelli che ogni grand-mère, maman, tante o, in generale, ogni cuisiner fa un po’ a modo suo, con il suo “segreto”; praticamente come il ripieno dei ravioli o come le lasagne, il ragù, la parmigiana di melanzane e via elencando.

 

Si tratta infatti di una semplice pastella con uova, zucchero, latte e farina - in proporzioni più o meno codificate - cotta in forno con della frutta. Ciliegie (clafoutis) o altra frutta (flognarde).

 

Negli anni ho provato tante ricette (nel post di cui sopra ne trovate una, ma nell’archivio del blog ce ne sono altre), tutte valide, tutte buone, ma ora, quasi non ci credo, penso di aver trovato la (mia) ricetta “perfetta”.

 


Sì, forse ho azzeccato il bilanciamento ideale tra zucchero e panna (si può usare anche il latte, ma con la panna - lo sospettavo, ma ora lo so per certo - è tutta un’altra cosa…) per la dolcezza. E tra burro e farina per la consistenza. Finalmente è tutto giusto. Ho, insomma, ritrovato quel gusto legato ai ricordi di bellissime vacanze di tanti anni fa.

 

Per il resto, il procedimento (sempre quello) è alla portata di chiunque; non serve alcuna attrezzatura particolare. La frutta va ben lavata e asciugata e sistemata sul fondo della pirofila senza lasciare spazi.

 

Ah, l’aggettivo “perfetta” è tra virgolette, ovviamente: sappiamo tutti che la perfezione non esiste e lungi da me contraddire questo principio di base della vita. Per questo non ho cancellato le altre ricette di clafoutis e flognarde nel blog.

 

 

Per 4 – 6 persone, pirofila rotonda da 24 centimetri

Se volete un dolce più grande ricalcolate le dosi.

 

3 uova freschissime

120 ml di panna fresca intera

80 g di zucchero di canna

60 g di farina di grano tenero tipo 0

60 g di burro fresco

 

20 ciliegie circa (dipende dalla dimensione), 4 albicocche, 1 pesca

 

Preriscaldate il forno - ventilato, se possibile - a 200°. Il procedimento è veloce, quindi regolatevi.

 

Rompete le uova in una ciotola e sbattetele con una forchetta (esattamente come si fa per una frittata) o una frusta di acciaio, aggiungete lo zucchero e sbattete blandamente ancora un po’. Non dovete montarle, solo sbatterle.

 

Nel frattempo fate fondere il burro - sul fornello o nel microonde, se lo possedete - e lasciatelo poi intiepidire. Aggiungetelo.

 

Setacciate la farina e aggiungetela alla pastella. Mescolate accuratamente sempre con la forchetta, o la frusta.

 

Per ultima aggiungete la panna. Mescolate. Lasciate riposare mentre imburrate e infarinate leggerissimamente lo stampo e vi adagiate le ciliegie lavate e asciugate, ma rigorosamente con il nocciolo, le pesche e le albicocche lavate, asciugate e tagliate in pezzi irregolari (senza i noccioli, ça va sans dire).

 

Versate la pastella sopra la frutta e mettete subito in forno, sul ripiano centrale. Abbassate la temperatura a 180°.

 

Cuocete 15 minuti circa. Trasferite la teglia sul ripiano più basso e cuocete altri 10 minuti circa. Tempi indicativi, perché dovete tenere la flognarde sotto stretto controllo. Si deve rassodare e dorare in superficie, non scurirsi troppo.

 


Servite il dolce tiepido, direttamente nello stampo, da cui prelevarlo con un cucchiaio. Se volete potete accompagnarlo con panna semi-montata, o, ancora più goloso, con una bella cucchiaiata di gelato alla crema.