Su filindeu - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
Un articolo davvero speciale!
Per il Gran Tour della Sardegna
di Aifb oggi ho un'ospite d'eccezione: l'amica e "maestra di pasta"
Claudia Casu di Sardegna Cooking Studio サルデーニャ・クッキング・スタジオ.
Claudia ha scritto un pezzo che ci racconta delle origini della più affascinante delle paste sarde: il filindeu.
Su filindeu e su Filindeu 'è oro - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
La storia, i legami, i viaggi, la
tecnica e i significati profondi. Una trattazione davvero completa, che
vi lascerà estasiati e con molto materiale su cui riflettere. Leggete.
Su filindeu - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
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Ecco l'articolo:
Su filindeu - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
Gran Tour d’Italia, la Sardegna. Su filindeu e l’Oriente: tutte le strade portano in Sardegna
La Sardegna, terra antica e misteriosa, vanta una ricchissima
storia culturale e gastronomica che si perde nel tempo. Tra le sue
peculiarità di territorio insulare c’è, senza dubbio, quella di essere
stata in grado di assorbire usanze e tecniche provenienti da lontano
restituendole, nel tempo, in nuove e originali vesti. Tra questi tesori
possiamo annoverare sicuramente la lavorazione della pasta di semola di
grano duro: oggi è un patrimonio tutto sardo che si è accumulato anche
grazie all’eredità di quegli intricati commerci che, nei secoli, hanno
animato i mari del Mediterraneo.
Avvalendosi dell’ottimo grano triticum durum coltivato in Sardegna si continuano a produrre antichi formati di pasta originali e, spesso, inimitabili. Tra questi possiamo menzionare quello che è stato definito il formato di pasta di semola più raro e di più difficile esecuzione al mondo: su filindeu, antica pasta tipica della Barbagia, una zona centrale della Sardegna in provincia di Nuoro.
Su filindeu è un formato di pasta unico al mondo: si ottiene sovrapponendo su un supporto circolare, tradizionalmente ottenuto dalla lavorazione dell’asfodelo e chiamato su fundu, tre strati di fili finissimi di semola sino a ottenere un risultato simile a un delicato tessuto semi-trasparente. La tecnica di lavorazione lascia a bocca aperta per la sua complessità: si parte da un lembo di impasto opportunamente lavorato fino a ottenere la giusta elasticità e consistenza; lo si ripiega su se stesso e, tirandone gli estremi per otto volte, si ottengono dei “nastri” formati da ben duecentocinquantasei finissimi capellini, che verranno adagiati con grazia fino a rivestire tutta la superficie del fundu. Terminato il primo strato, si procede poi con il secondo e infine con il terzo, ruotando la texture in modo da ottenere un delicatissimo foglio di pasta, che verrà poi essiccato al sole.
È quindi deducibile che dal termine spagnolo tuttora in uso fideos, che a sua volta deriva dall’arabo fidaws e indica quel formato di pasta filiforme noto come capellini o fidelini, sia poi nata la parola sarda findeus e da essa filindeu, attuale nome dell’originale e intricato formato di pasta barbaricino.
La tecnica che arriva dalla lavorazione della pasta araba chiamata ittrya, dal greco itrion, è tuttora applicata in Sardegna alla lavorazione dei pregiati marraconis fibaus (maccheroni filati), dei fili di pasta liscia ritorti in una sinuosa losanga, così disposti per essere essiccati salvando spazio. Si tratta dello stesso metodo applicato per ottenere le finissime e rinomate lorighittas di Morgongiori. Con su filindeu, invece, assistiamo a qualcosa di completamente diverso e straordinario: la semola viene lavorata in maniera “estrema” per vincere la sua tipica resistenza e renderla, invece, incredibilmente elastica e duttile.
Con lo stesso metodo, infatti, partendo da una porzione di impasto e tirandone e ripiegandone i lembi, si ottiene un fascio di capellini finissimi, di numero variabile in base all’abilità e al gusto del cuoco, destinati a essere immediatamente gettati in acqua bollente e assaporati in ricchi brodi. L’espressione la-mian letteralmente significa impasto di grano tirato a mano. In Giappone, nell’estremo Oriente, possiamo osservare diverse lavorazioni di chiara derivazione cinese, sempre di grano tenero, tra cui i famosi tagliolini ramen (parola che deriva appunto da la-mian) e i capellini finissimi somen, anch’essi ottenuti dall’estensione di delicatissimi fili di impasto, poi essiccati per la conservazione.
Grazie ai preziosi testi, compilati con grande dedizione da Padre Raimondo Turtas (1931-2018), tra cui I Gesuiti in Sardegna. Quattrocentocinquant’anni di storia, che illustra con minuzia quei secoli in cui la Compagnia di Gesù si installò e fiorì in Sardegna, possiamo assistere con grande stupore a diverse testimonianze di quello che fu, probabilmente, il primo flusso di scambi culturali e commerciali tra Sardegna e Oriente.
Nel testo di Padre Turtas si trova la lista completa dei centoundici gesuiti sardi che, con grande coraggio, svolsero le loro missioni tra il 1615 e il 1767 nelle colonie spagnole, da quelle delle Americhe a quelle d’Oriente, nell’area delle Filippine, Cina e Giappone. Si trattava di insegnanti, agricoltori, novizi, cuochi, operai. Tra loro ricordiamo Juan Bautista Sanna di Cuglieri, partito nel 1696 per il Quito, catturato dai portoghesi e condotto a Lisbona, di dove si imbarcò per la Cina; nel 1717 lo ritroviamo come missionarius cochinchinensis e medico personale dell’imperatore della Cocincina Nguyen Phuoc’Chu e implicato nella questione dei riti cinesi (Diccionario, IV, pp. 3498).
Alcuni perirono in quelle terre lontane, altri, invece, riuscirono a rientrare in Sardegna portando con sé un nuovo grande patrimonio culturale proveniente da mondi ancora sconosciuti. E ciò che non giungeva per voce veniva raccontato tramite importanti scambi epistolari, tra cui la Ratio Scribendi pubblicata nel 1559 da Giacomo Laìnez e le Litere Iaponice anni 1574, 1575 e 1576, stampate a Roma nel 1578, che sono menzionate nel catalogo della biblioteca dell’arciprete del Capitolo di Sassari Giovanni Francesco Fara, come si legge in Gesuiti sardi in terra di missione tra Seicento e Settecento di Padre Raimondo Turtas.
Tra i tanti tesori riportati da lontano c’era la tecnica della lavorazione della seta, un’arte tutta orientale che, sappiamo con certezza, venne introdotta a Orgosolo (Nuoro) dai Padri Gesuiti, e che, nell’arco di qualche anno, si svilupperà in una vera e propria filiera tutta sarda che ancora oggi sopravvive a secoli di peripezie.
Una pasta che, prima di giungere ai giorni nostri, ha attraversato almeno tre secoli di pestilenze, tumulti, grandi guerre e carestie, trasformandosi dalla pasta delle spose a un piatto di deliziosa minestra per pellegrini.
Divenne infatti tradizione offrire un piatto di filindeu cotto in brodo di pecora a tutti coloro che partecipavano al pellegrinaggio notturno dalla chiesetta della Solitudine a Nuoro fino al santuario campestre di San Francesco a Lula: un cammino lungo ben 33 chilometri.
La festa viene descritta anche in Elias Portolu di Grazia Deledda e, ancora oggi, è molto sentita: molti sono coloro che compiono l’intero tragitto a piedi. I priori (gli organizzatori) e tutte le famiglie dedite al rinnovo della promessa hanno così mantenuto viva la tradizione di su filindeu.
Oggi su filindeu è un’arte tutta femminile e, tra le donne
che con grande impegno hanno preservato questa preziosa lavorazione, è
importante citare l’amatissima Rosaria Musina di Nuoro, che ha
tramandato l’arte del filindeu alle figlie, tra cui Gavina
Selis, e alle nuore. Tra loro menzioniamo volentieri Salvatora Pisanu,
che è stata intervistata e filmata dal canale inglese Pasta Grannies prima
che intorno a questa pasta si sviluppasse un vero e proprio circo
mediatico. Oggi la figlia di Gavina, Raffaella Marongiu, presenta la sua
arte in Sardegna a un pubblico estasiato, lavorando lontano dai
riflettori e con grande dedizione.
La mia storia con su filindeu è abbastanza recente: guidata dall’istinto, dalla sensibilità delle mie mani e dall’esperienza maturata in tanti anni di lavorazione e presentazione della pasta tradizionale della mia Sardegna qui in Giappone, sono riuscita – e con non poco stupore – a veder nascere quei finissimi fili tanto preziosi e delicati, utilizzando solo semola e sale di Sardegna. Una volta ottenuto un buon risultato, ho voluto anche sperimentare una variante impreziosita dall’aggiunta di Zafferano di Sardegna Dop, che ha preso il nome di Filindeu ‘e Oro, trasformando il mio filindeu in una sorta di brillante tessuto di seta gialla, che vedete nelle foto.
Il mio Filindeu ‘e Oro è già tornato a casa sua, in Sardegna, ed è stato testato con successo dal rinomato chef Maurizio Melis della Trattoria S’Hostera Nugoresa di Nuoro, che ne ha realizzato una innovativa lasagnetta.
Testo e foto (se non diversamente indicato) di Claudia Casu
Claudia Casu, ospite del Gran Tour della Sardegna per parlarci di filindeu,
vive a Tokyo dal 2009 dove ha una scuola di cucina che si chiama
Sardegna Cooking Studio. Claudia, abilissima nell’arte della pasta, ha
inventato diversi formati originali. La sua pagina FB: Sardegna Cooking Studio
Bibliografia e sitografia:
Diccionario histórico de la Compañía de Jesús biográfico-temático, a cura di Charles E. O’Neill SI, Joaquín Ma Domínguez SI, I-IV, Institutum historicum S.I.-Universidad pontificia Comillas, Roma-Madrid 2001
La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Serventi – Sabban, Laterza, Bari 2000
Treccani
Su filindeu: che cosa è
Grazie a un prezioso lavoro di conservazione della tradizione da un lato e di innovazione proiettata verso il futuro dall’altro compiuto ormai da pochi, in Sardegna la lavorazione della semola di grano duro è praticata ancora oggi secondo altissimi standard di qualità.Avvalendosi dell’ottimo grano triticum durum coltivato in Sardegna si continuano a produrre antichi formati di pasta originali e, spesso, inimitabili. Tra questi possiamo menzionare quello che è stato definito il formato di pasta di semola più raro e di più difficile esecuzione al mondo: su filindeu, antica pasta tipica della Barbagia, una zona centrale della Sardegna in provincia di Nuoro.
Su filindeu è un formato di pasta unico al mondo: si ottiene sovrapponendo su un supporto circolare, tradizionalmente ottenuto dalla lavorazione dell’asfodelo e chiamato su fundu, tre strati di fili finissimi di semola sino a ottenere un risultato simile a un delicato tessuto semi-trasparente. La tecnica di lavorazione lascia a bocca aperta per la sua complessità: si parte da un lembo di impasto opportunamente lavorato fino a ottenere la giusta elasticità e consistenza; lo si ripiega su se stesso e, tirandone gli estremi per otto volte, si ottengono dei “nastri” formati da ben duecentocinquantasei finissimi capellini, che verranno adagiati con grazia fino a rivestire tutta la superficie del fundu. Terminato il primo strato, si procede poi con il secondo e infine con il terzo, ruotando la texture in modo da ottenere un delicatissimo foglio di pasta, che verrà poi essiccato al sole.
Su filindeu - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
Su filindeu in Sardegna: origine del nome
Sappiamo con certezza – grazie ad alcuni documenti storici tra cui registri doganali – che la Sardegna era presente in maniera competitiva sul mercato della pasta essiccata già dal XVI secolo, tenendo testa alle produzioni della Sicilia e di altre aree italiane. Nel 1612 il reale spagnolo Martin Carrillo visita la Sardegna e lascia una preziosa testimonianza sulle produzioni sarde: Confituras de azúcar y miel, también hechas como en Valencia; hazen à mas de los Andarines, Macarrones, Fideos, Lisaños, Tallarines, Arroz de Pasta, Frigola, […] (citazione dell’etnografa Alessandra Guigoni – 2012).È quindi deducibile che dal termine spagnolo tuttora in uso fideos, che a sua volta deriva dall’arabo fidaws e indica quel formato di pasta filiforme noto come capellini o fidelini, sia poi nata la parola sarda findeus e da essa filindeu, attuale nome dell’originale e intricato formato di pasta barbaricino.
Su filindeu: tecniche di lavorazione della pasta
Se escludiamo le più recenti e moderne lavorazioni al torchio, che consentono di produrre grosse quantità di pasta in tempi decisamente ridotti, possiamo constatare come, in Sardegna e in altre zone del Mediterraneo, i formati di pasta filiformi vengano ottenuti con le stesse antichissime tecniche manuali. Ovvero allungare o spianare l’impasto e, successivamente, affinarlo con il palmo delle mani oppure tagliarlo in strisce, al fine di ottenere un elemento tubolare o di sezione quadrata più o meno lungo e sottile.La tecnica che arriva dalla lavorazione della pasta araba chiamata ittrya, dal greco itrion, è tuttora applicata in Sardegna alla lavorazione dei pregiati marraconis fibaus (maccheroni filati), dei fili di pasta liscia ritorti in una sinuosa losanga, così disposti per essere essiccati salvando spazio. Si tratta dello stesso metodo applicato per ottenere le finissime e rinomate lorighittas di Morgongiori. Con su filindeu, invece, assistiamo a qualcosa di completamente diverso e straordinario: la semola viene lavorata in maniera “estrema” per vincere la sua tipica resistenza e renderla, invece, incredibilmente elastica e duttile.
Su filindeu in Sardegna e la-mian in Cina
Nel resto d’Europa non ci sono tracce di formati di pasta nemmeno vagamente simili, o che possano avere radici comuni con questa pasta tutta sarda. Sappiamo invece con certezza che, in una vasta area della Cina, da più di cinquecento anni si produce con successo una prelibata pasta di grano tenero la cui lavorazione base è perfettamente identica a quella applicata a su filindeu.Con lo stesso metodo, infatti, partendo da una porzione di impasto e tirandone e ripiegandone i lembi, si ottiene un fascio di capellini finissimi, di numero variabile in base all’abilità e al gusto del cuoco, destinati a essere immediatamente gettati in acqua bollente e assaporati in ricchi brodi. L’espressione la-mian letteralmente significa impasto di grano tirato a mano. In Giappone, nell’estremo Oriente, possiamo osservare diverse lavorazioni di chiara derivazione cinese, sempre di grano tenero, tra cui i famosi tagliolini ramen (parola che deriva appunto da la-mian) e i capellini finissimi somen, anch’essi ottenuti dall’estensione di delicatissimi fili di impasto, poi essiccati per la conservazione.
Sardegna e Oriente: un filo diretto
Fino al XVI secolo non esistono documenti storici che attestino un dialogo diretto tra la Sardegna ed Estremo Oriente. Verso la metà del XVI secolo, in piena dominazione spagnola, il sassarese Alessio Fontana (funzionario amministrativo, letterato e corrispondente di Ignazio di Loyola) e il cagliaritano Pietro Spiga (il primo gesuita sardo) concepirono il grande progetto di impiantare l’Ordine dei Gesuiti in Sardegna. Fu così che, a partire da Sassari, vennero istituiti nell’isola diversi importanti collegi che aprirono la strada all’alfabetizzazione della popolazione e all’istruzione superiore dei più abbienti. Dal XVII secolo in poi, negli ambienti clericali sardi ci fu un vero e proprio boom di interesse per le Indie, cioè quella estesa zona geografica che va dal continente indiano fino all’estremo oriente. Da tutto il Regno furono inviate missioni e attivate esplorazioni a fini commerciali, che divennero presto cruciali.Grazie ai preziosi testi, compilati con grande dedizione da Padre Raimondo Turtas (1931-2018), tra cui I Gesuiti in Sardegna. Quattrocentocinquant’anni di storia, che illustra con minuzia quei secoli in cui la Compagnia di Gesù si installò e fiorì in Sardegna, possiamo assistere con grande stupore a diverse testimonianze di quello che fu, probabilmente, il primo flusso di scambi culturali e commerciali tra Sardegna e Oriente.
Nel testo di Padre Turtas si trova la lista completa dei centoundici gesuiti sardi che, con grande coraggio, svolsero le loro missioni tra il 1615 e il 1767 nelle colonie spagnole, da quelle delle Americhe a quelle d’Oriente, nell’area delle Filippine, Cina e Giappone. Si trattava di insegnanti, agricoltori, novizi, cuochi, operai. Tra loro ricordiamo Juan Bautista Sanna di Cuglieri, partito nel 1696 per il Quito, catturato dai portoghesi e condotto a Lisbona, di dove si imbarcò per la Cina; nel 1717 lo ritroviamo come missionarius cochinchinensis e medico personale dell’imperatore della Cocincina Nguyen Phuoc’Chu e implicato nella questione dei riti cinesi (Diccionario, IV, pp. 3498).
Alcuni perirono in quelle terre lontane, altri, invece, riuscirono a rientrare in Sardegna portando con sé un nuovo grande patrimonio culturale proveniente da mondi ancora sconosciuti. E ciò che non giungeva per voce veniva raccontato tramite importanti scambi epistolari, tra cui la Ratio Scribendi pubblicata nel 1559 da Giacomo Laìnez e le Litere Iaponice anni 1574, 1575 e 1576, stampate a Roma nel 1578, che sono menzionate nel catalogo della biblioteca dell’arciprete del Capitolo di Sassari Giovanni Francesco Fara, come si legge in Gesuiti sardi in terra di missione tra Seicento e Settecento di Padre Raimondo Turtas.
Tra i tanti tesori riportati da lontano c’era la tecnica della lavorazione della seta, un’arte tutta orientale che, sappiamo con certezza, venne introdotta a Orgosolo (Nuoro) dai Padri Gesuiti, e che, nell’arco di qualche anno, si svilupperà in una vera e propria filiera tutta sarda che ancora oggi sopravvive a secoli di peripezie.
Su filindeu - foto per gentile concessione di Claudia Casu, Sardegna Cooking Studio |
Su filindeu: dalla Sardegna nel mondo
Fatte queste premesse non è difficile immaginare che la tecnica unica e delicata della lavorazione della pasta cinese la-mian sia, in qualche modo, giunta in terra sarda e, grazie all’abilità di chi già sapeva lavorare in maniera eccellente la semola di grano duro, si sia trasformata poi nel rinomato formato tutto sardo del filindeu, conosciuto nel mondo.Una pasta che, prima di giungere ai giorni nostri, ha attraversato almeno tre secoli di pestilenze, tumulti, grandi guerre e carestie, trasformandosi dalla pasta delle spose a un piatto di deliziosa minestra per pellegrini.
Divenne infatti tradizione offrire un piatto di filindeu cotto in brodo di pecora a tutti coloro che partecipavano al pellegrinaggio notturno dalla chiesetta della Solitudine a Nuoro fino al santuario campestre di San Francesco a Lula: un cammino lungo ben 33 chilometri.
La festa viene descritta anche in Elias Portolu di Grazia Deledda e, ancora oggi, è molto sentita: molti sono coloro che compiono l’intero tragitto a piedi. I priori (gli organizzatori) e tutte le famiglie dedite al rinnovo della promessa hanno così mantenuto viva la tradizione di su filindeu.
Su filindeu torna a casa
Su filindeu è stato esportato in tutto il mondo e, nel tempo, si sono verificati numerosi tentativi di imitazione, tutti piuttosto rozzi, rimasti incompleti o inevitabilmente falliti per via dell’enorme difficoltà di riproduzione di questa pasta sopraffina, nonché per l’utilizzo di materie prime di scarsa qualità. Attualmente tutte le maestre che ne custodiscono tecnica ed esperienza sono sarde e risiedono a Nuoro.La mia storia con su filindeu è abbastanza recente: guidata dall’istinto, dalla sensibilità delle mie mani e dall’esperienza maturata in tanti anni di lavorazione e presentazione della pasta tradizionale della mia Sardegna qui in Giappone, sono riuscita – e con non poco stupore – a veder nascere quei finissimi fili tanto preziosi e delicati, utilizzando solo semola e sale di Sardegna. Una volta ottenuto un buon risultato, ho voluto anche sperimentare una variante impreziosita dall’aggiunta di Zafferano di Sardegna Dop, che ha preso il nome di Filindeu ‘e Oro, trasformando il mio filindeu in una sorta di brillante tessuto di seta gialla, che vedete nelle foto.
Il mio Filindeu ‘e Oro è già tornato a casa sua, in Sardegna, ed è stato testato con successo dal rinomato chef Maurizio Melis della Trattoria S’Hostera Nugoresa di Nuoro, che ne ha realizzato una innovativa lasagnetta.
Testo e foto (se non diversamente indicato) di Claudia Casu
Claudia Casu, ospite del Gran Tour della Sardegna per parlarci di filindeu,
vive a Tokyo dal 2009 dove ha una scuola di cucina che si chiama
Sardegna Cooking Studio. Claudia, abilissima nell’arte della pasta, ha
inventato diversi formati originali. La sua pagina FB: Sardegna Cooking Studio
Bibliografia e sitografia:
Diccionario histórico de la Compañía de Jesús biográfico-temático, a cura di Charles E. O’Neill SI, Joaquín Ma Domínguez SI, I-IV, Institutum historicum S.I.-Universidad pontificia Comillas, Roma-Madrid 2001
La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Serventi – Sabban, Laterza, Bari 2000
Treccani
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