Partiamo per un giro della Sardegna in chiave vitivinicola,
seguendo i percorsi del vino, presentando i vitigni più diffusi e
conosciuti – moltissimi sono poi quelli rari, con una diffusione più o
meno locale e più o meno limitata – che danno vita ai vini sardi che si
possono fregiare dei
marchi di qualità Igt, Doc e Docg.
La vite si coltiva in Sardegna da quasi tremilacinquecento anni
Fino a qualche decennio fa era opinione comune che la coltivazione
della vite e la produzione del vino in Sardegna fossero state introdotte
e diffuse durante la colonizzazione fenicia (IX -VIII secolo a.C.) e
perfezionate durante le successive dominazioni cartaginese (VI secolo
a.C.) e romana (III secolo a.C.). Recenti indagini archeologiche hanno
dimostrato che non è così;
la vite si coltivava in Sardegna quasi millecinquecento anni prima di Cristo
e dall’uva si ricavava un prodotto molto simile al vino. È del 2015 la
scoperta nel sito nuragico di Sa Osa (presso Cabras, provincia di
Oristano) di
semi di Vernaccia e Malvasia vecchi di tremila anni ben prima, dunque, che l’isola venisse abitata da Fenici, Romani, Bizantini.
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Vigne sarde in primavera presso Sorso, Sassari - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Come fosse il “vino” dei nostri padri nuragici non è dato sapere; certo è che l
e
vigne – onnipresenti dal livello del mare alla montagna – sono da
sempre un aspetto caratteristico del paesaggio della Sardegna.
La vitivinicoltura ha avuto, da sempre, un ruolo di primo piano
nell’economia dell’isola, tanto che ai tempi di Eleonora d’Arborea, nel
XIV secolo, erano previste pene severe, che prevedevano il taglio della
mano destra, per chi danneggiasse o bruciasse delle vigne. Il vino
prodotto oggi in Sardegna è ottimo e, in pochi anni, la qualità è
aumentata esponenzialmente permettendo così l’esportazione (alcune
cantine commercializzano il proprio vino solo fuori dall’isola) e la
competizione con regioni da molto più tempo avvezze alle produzioni di
alta qualità: lo dimostrano i premi e i riconoscimenti ricevuti.
Cannonau e Vermentino: i vitigni maggiormente rappresentativi
Il Cannonau e il Vermentino, l’uno a bacca rossa, l’altro a bacca
bianca, sono i vitigni sardi più noti nel mondo e quelli maggiormente
rappresentativi della natura della Sardegna, anche perché sono diffusi
ovunque, su un territorio vasto e vario. Il Cannonau viene coltivato – a
scopi commerciali, poiché resistono, da nord a sud, innumerevoli
piccole vigne familiari – su settemilacinquecento ettari. La
Denominazione di Origine Controllata lo qualifica come
Cannonau di Sardegna,
ma le uve cannonau rientrano anche nel disciplinare di produzione di
altri vini Doc come il Mandrolisai e, di recente, vengono utilizzate per
la produzione di spumanti rosè ottenuti con una pressatura soffice
delle uve, molto apprezzati anche all’estero. Le vigne di Vermentino
coprono circa quattromilacinquecento ettari e il Vermentino di Gallura è
l’unico vino sardo a essere tutelato da una Dogc. Sia il Vermentino sia
il Cannonau vengono vinificati in purezza, dando vita a vini con
profumi e aromi molto caratteristici (ognuno a suo modo), spesso di
gradazione alcolica piuttosto elevata.
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Degustazione di vini sardi - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Bovale e Monica: due vitigni a bacca rossa molto diffusi nell’isola
Bovale e Monica sono altri due vitigni a bacca rossa molto diffusi in
Sardegna, prevalentemente nelle zone centrali dell’isola. Si pensa che
il Monica sia stato introdotto in Sardegna dai monaci Camaldolesi
nell’XI secolo; ma altre teorie propendono per una introduzione più
tarda a opera degli Spagnoli: in alcune zone infatti è conosciuto come
Monica di Spagna. Oggi
esistono le denominazioni Monica Doc e Monica di Cagliari Doc.
Lo stesso vale per il Bovale poiché ne esistono due varietà diverse:
il Bovale sardo e il Bovale di Spagna detto anche
Bovale grande, quest’ultimo importato in Sardegna dalla Spagna nel XIV secolo. Il Bovale sardo è invece autoctono ed è conosciuto anche come
Muristellu. Il Bovale rientra nella Doc Mandrolisai.
Cagnulari e Carignano: altri due robusti rossi di Sardegna
Meno diffusi, ma non meno pregiati, sono i vitigni Cagnulari e
Carignano. Il primo è un vitigno antico, tipico di una zona piuttosto
ristretta nelle immediate vicinanze di Sassari da cui nasce
la Doc Alghero Cagnulari.
Il secondo è probabilmente ancor più antico – furono i Fenici a
introdurlo quando sbarcarono sull’isola di Sant’Antioco fondando la
città di Sulki (o Solci) – ed è tipico del Sulcis, zona compresa fra le
alture della Sardegna sud-occidentale e il mare, provincia del Sud
Sardegna. I vini che se ne ricavano sono entrambi molto particolari: il
Cagnulari ha un sapore molto asciutto e intenso; il Carignano trasmette
anche al palato il caldo e il profumo delle torride estati del sud
dell’isola ed è riconosciuto fin dal 1977 come vino a Denominazione di
Origine Controllata con il nome di
Carignano del Sulcis.
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Uva sarda - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Girò: vanto del Campidano di Cagliari
Il Girò è un altro dei vitigni a bacca rossa della Sardegna. Viene coltivato solo nel
Campidano di Cagliari,
in piccole aree, fin dal XVI secolo. Se ne ricava un vino dolce,
liquoroso – tutelato da una Doc fin dal 1972 – con sfumature color
arancio e un sapore complesso, tutto da scoprire.
Il Moscato: caratteristiche diverse a seconda delle zone
Il Moscato è un vitigno ben conosciuto fin dall’epoca dei Romani (III
secolo a.C.) diffuso dalla Romangia (nord) alla Gallura (est) al
Campidano (sud) e assume, a seconda delle zone, caratteristiche diverse.
Il Moscato di Sorso-Sennori Doc è forse il più caratteristico. Sulle
colline di Sorso e di Sennori, paesi confinanti poco distanti da
Sassari, calcaree e baciate dal sole, il vitigno dà il meglio di sé
regalando
un vino inebriante, dal colore pieno e dal sapore dolce, intensissimo e persistente.
In Gallura il Moscato di Sardegna Doc è anche la base per vini
spumantizzati, mentre nella zona di Cagliari le uve Moscato vengono
vinificate con il marchio Moscato di Cagliari Doc.
Malvasia: un vitigno di Sardegna misterioso e antichissimo
Malvasia: un vitigno misterioso che dà un vino particolare. Anzi due
vini: quello di Bosa (Oristano) e quello di Cagliari, entrambi Doc e
completamente diversi tra loro. Come dicevamo all’inizio, fino a non
molto tempo fa si era convinti che il Malvasia fosse stato introdotto in
Sardegna in periodo bizantino perché il nome farebbe pensare al porto
greco di Monemvasia nel Peloponneso e così anche il nome dialettale
alvarega, che significa “bianca greca”. Sappiamo ora che non è così:
il Malvasia è probabilmente un vitigno autoctono sardo,
che si è evoluto ed è stato coltivato nel corso dei millenni in modo
diverso, fino a produrre oggi un vino raffinato e molto elegante, un
vino da meditazione, adatto a un lungo invecchiamento e per questo
prezioso, per i sardi simbolo di amicizia duratura e condivisione.
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Strada della Malvasia di Bosa - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
La Vernaccia: un vino sardo adatto a un lungo invecchiamento
La Vernaccia è un vitigno che condivide la propria storia con il Malvasia. Si pensava che fossero stati
i Fenici, fondando Tharros,
città monumentale a guardia della Penisola del Sinis, in provincia di
Oristano, a introdurla sull’isola. Ha origini invece assai più antiche e
vegeta bene solo nelle zone dell’Oristanese. Il nome però è sicuramente romano e deriva da
vernaculus,
cioè locale, del posto. Il vino che ne deriva, ovvero la Vernaccia di
Oristano, ha la Doc fin dal 1971 ed è asciutto, secco, persistente,
ricco di profumi e adatto anche a un lungo invecchiamento.
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Uno spiritoso cartello che celebra la Vernaccia di Oristano - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Torbato: amato da catalani e algheresi
Il Torbato è un vitigno della grande famiglia delle Malvasie. Pare
sia arrivato in Sardegna attraverso la Spagna e abbia prosperato nei
circa trecento anni di dominazione spagnola dell’isola. Era infatti
molto amato dagli Spagnoli, che lo coltivavano per farne un vino da
esportazione. Oggi è diffuso in un’area molto limitata, nel territorio
di Alghero (Sassari), città che ha ancora
strettissimi rapporti linguistici e culturali con la Catalogna, dove viene vinificato anche come spumante con la denominazione Alghero Doc.
Il Nuragus: vitigno a bacca bianca di Sardegna, rustico, di origine fenicia
Il
Nuragus è, tra i vitigni a bacca bianca della
Sardegna, il più coltivato subito dopo il Vermentino; si parla di circa
tremilatrecento ettari concentrati nelle zone di Cagliari e Oristano.
Pare sia stato introdotto dai navigatori fenici fondatori dell’
antica città di Nora,
le cui spettacolari rovine sono visibili e visitabili a sud-ovest di
Cagliari. Si tratta di un vitigno molto rustico e adattabile, che regala
un vino fresco, dalle sfumature verdi e dal sapore fiorito, che è
tutelato da una Doc dal 1975.
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Una vigna nei pressi di tresnuraghes, Oristano - Foto di Cristiana Grassi/Orata Spensierata diritti riservati |
Nasco dolce e aromatico, Semidano floreale e fruttato
Nasco e Semidano sono gli ultimi due vitigni a bacca bianca
che vi presentiamo. La coltivazione del Nasco oggi è molto limitata e
concentrata prevalentemente nei terreni calcarei e assolati situati
dell’entroterra di Cagliari. Se ne ricava un vino già conosciuto al
tempo dei Romani e che ha una Doc dal 1972. Il nome deriverebbe dal
termine latino
muscus (muschio), che allude al sapore caratteristico del
Nasco invecchiato: dolce, persistente e molto profumato.
Il
Semidano ha origini incerte; molto diffuso
nell’antichità, durante le devastanti epidemie di filossera dal XIX
secolo rischiò di scomparire sostituito da varietà più robuste come il
Nuragus. Oggi viene coltivato soltanto in una piccola area collinare del
Campidano di Oristano. Dalla vinificazione in purezza dell’uva Semidano
si ottiene un vino paglierino dorato con sentori floreali e fruttati,
che ha il marchio Doc dal 1995.
Bibliografia e sitografia:
Il vino in Sardegna. 3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione, Ilisso, Nuoro 2010
Guida ai vitigni d’Italia. Storia e caratteristiche di 600 varietà autoctone, Slow Food, Bra 2011
Sardegna Agricoltura
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