Quando la montagna incontra il mare: pane fresa in zuppa di pesce


Questa volta, devo ammetterlo, la preparazione è un tantino complicata. No, in effetti non è complicata, ma è lunga e laboriosa. 

Quindi io vi consiglio di ritiravi in cucina una domenica mattina (diciamo le 11 al massimo, se volete mangiare verso le due, o prima se preferite mangiare presto) con buona volontà e un libro, che leggerete nei tempi morti. 


Ah, se siete, come me, un po' talpe per via dell'età, portatevi anche gli occhiali, che vi serviranno sia per cucinare sia per leggere.



Pesce da zuppa (gallinelle, bavosette, trigliette, mormorine… insomma, la "minutaglia" del pescato)

pomodori freschi e passata di pomodoro
pomodori secchi
carota e sedano
aglio abbondante
brodo vegetale o fumetto di pesce (o anche semplice acqua)
vino bianco secco
sale (se serve), peperoncino
pane fresa di Gavoi (eh, sì!)*

Pulire sommariamente i pescetti: ovvero tagliar via pinne e code, squamare sfregando con guanti di gomma un po' robusti e, volendo, eviscerarli (ma sono, in genere, esemplari talmente piccoli che non ne vale la pena). Lasciarli sgocciolare.

Mondare una carotina, una costa di sedano e un paio  - o più - di spicchi d'aglio, quindi tritare il tutto finemente. Mondare i pomodori e tritarli sommariamente. Pulire dal sale e tritare anche un paio di pomodori secchi.

Riscaldare il brodo o scaldare dell'acqua e tenerla a portata di mano.

In una casseruola far scaldare il trito di verdure, unire i pesci interi e rosolarli per un paio di minuti mescolando; sfumare con un po' di vino bianco e poi unire i pomodori freschi. Dopo una decina di minuti a fuoco molto moderato, unire la passata di  pomodoro e il brodo ben caldo.

Cuocere coperto per poco più di un'ora a fuoco molto molto dolce, a pentola chiusa (ma non ermeticamente) mescolando abbastanza spesso.


Questo è il momento in cui potete leggere il vostro libro sedute/i su una sedia e con i piedi sollevati su un'altra; padrone/i della vostra cucina, con il resto della famiglia in altre faccende affaccendato (meglio ancora se fuori di casa).

Quando i pesci saranno disfatti e il brodo saporito, bisogna procedere a un primo filtraggio: passare il tutto attraverso un setaccio a maglie non troppo fitte schiacciando bene tutto ciò che è ancora solido.

Quindi frullare tutti gli scarti e procedere a un secondo filtraggio della "polpa" ottenuta utilizzando, questa volta, un setaccino fittissimo. Non dovrà passare nemmeno una piccola lisca (e qui vi servono gli occhiali di cui sopra).

So già che qualcuno obietterà che questo metodo è poco… ortodosso, ma, tanto tempo fa, mi son detta che in cucina come in amore tutto vale!

Rimettere il brodo concentrato su fuoco dolcissimo e aggiustare di sale (non dovrebbe servirne, ma i gusti sono gusti) e di peperoncino.

Nel frattempo trovate un gatto e promettetegli ciò che è rimasto dopo questa operazione, ovvero una poltiglia molto profumata di pesce. Io, giù in cortile, ho trovato ben sei felini disponibili a darmi una mano.

Comunque… come ultima operazione spezzettare il pane fresa di Gavoi in pezzi non troppo piccoli e gettarli nel brodo di pesce. 


Cuocere non più di un paio di minuti mescolando solo una volta e molto delicatamente, poi servire fumante.

* Il pane fresa di Gavoi (splendido paesino di montagna in provincia di Nuoro) è un pane croccante in sfoglie non troppo sottili, fatto di grano duro, lievito madre, sale e acqua. Si cuoce rigorosamente nel forno a legna e viene confezionato in pezzi rettangolari ripiegati su sue stessi a formare come le pagine di un libro. La forma è tradizionale e funzionale al fatto che questo pane veniva riposto nelle bisacce da pastori e contadini, che lo portavano con loro nelle campagne, sicuri che sarebbe durato il tempo della loro assenza da casa. 




Questo pane speciale, come il pane zichi e il pane pistoccu, fa parte di quel gruppo di pani sardi che io chiamo "da minestra", ovvero adatti per essere cotti nel brodo, come la pasta. Certo, il brodo tradizionale è di carne (meglio se di pecora), ma anche con il pesce i risultati possono essere gustosi!

Di grandi cavoli e generose muggini: come condire le orecchiette


Non so dalle vostre parti, ma qui i cavolfiori quest'anno stanno raggiungendo dimensioni elefantiache! Sarà la stagione anomala, ma il mio ortolano in questi giorni espone dei bellissimi (e buonissimi!) cavolfiori giganti bianchi avvolti in splendide foglie grigioverdi. 

Il problema è che, una volta portato a casa (e pure con una certa fatica) uno di questi esemplari, serve trovare diverse ricette diverse per smaltirlo senza farselo venire a noia. Un quarto è stato cotto al vapore e consumato semplice-semplice in insalata; un quarto è stato stufato con olive, pomodoro secco e salsiccia e, oggi, un quarto è stato utilizzato come condimento della pasta. 
Me ne avanza ancora un quarto, però…
 


Cavolfiore fresco e sodo
pasta secca artigianale (orecchiette)
aglio
bottarga di muggine grattugiata*
prezzemolo tritato
olio evo, sale (pochissimo)
vino bianco secco

Mondare e dividere il cavolfiore in cimette molto piccole. Tritare a coltello sia l'aglio, sia il prezzemolo. 


Mettere sul fuoco abbondante acqua salata per la pasta.
In una pentolina dai bordi alti scaldare l'aglio in olio evo, quindi unire le cimette di cavolfiore lavate e solo parzialmente sgocciolate. Poco dopo bagnare con vino bianco secco, fare evaporare, salare leggerissimamente e poi far stufare, aggiungendo man mano pochissima acqua di cottura della pasta.
 

Scolare la pasta molto al dente conservando un po' dell'acqua. Unirla al cavolfiore e terminare la cottura come se si dovesse cuocere un risotto, facendo consumare tutta la parte liquida.
 

Spolverizzare con abbondante bottarga grattugiata e con il prezzemolo; completare con una generosa dose di olio crudo. Mescolare e servire subito.

* per chi non ha dimestichezza con il termine dirò che la bottarga di muggine è un prodotto ottenuto dalla salagione e dalla essiccazione delle ovaie (chiamate comunemente baffe) del Mugil cephalus

La consuetudine di conservare le sacche delle uova dei grossi pesci come i muggini o i tonni è una pratica molto antica. Molto probabilmente furono gli arabi (il nome stesso pare derivi dalla parola araba butarih) a diffonderla nel Mediterraneo in generale e in Sardegna in particolare, dove la tradizione si è poi consolidata. Le baffe si consumano in vari modi: affettate sottili sottili quando sono più fresche, grattugiate quando sono più stagionate, ma sempre accompagnate e ammorbidite da dell'ottimo olio. 
Oggi la bottarga è un "Prodotto tradizionale", ovvero uno di quei "prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali".