Ravioloni con formaggio di capra e noci all’aglio



Penso al cibo spesso. Molto spesso. Alcuni giorni fa ero in un grande magazzino e, mentre sceglievo un maglione da regalare allo zio, pensavo ai ravioli. Infatti ho sbagliato taglia...

Il punto è che mi capita sovente di camminare immaginando ricette da mettere in pratica una volta arrivata a casa: faccio mente locale sul contenuto del frigorifero e della dispensa, calcolo se i tempi sono sufficienti, mi faccio domande sugli abbinamenti.

Poi, il più delle volte, capita che, una volta varcata la soglia della cucina e indossato il grembiule, io faccia tutto il contrario di quello che avevo pensato. Questa volta è successo solo in parte. Pensavo di fare ravioli con la ricotta mustia e invece ci ho messo il formaggio di capra, pensavo di farli a forma di rombo e invece mi son venuti fuori a mezzaluna.



Per quattro persone:

200 g di semola rimacinata di grano duro
acqua e sale q.b.

200 g di erbette freschissime
1 patata media farinosa
70 g più un po’ di formaggio di capra semistagionato
olio extravergine di oliva

50 g di gherigli di noce
1 grossa noce di burro
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaio d’olio extravergine di oliva


Setacciare la semola direttamente sulla spianatoia di legno, aggiungere un pizzico di sale fino, unire un po’ di acqua e mescolare inizialmente con una forchetta. Proseguire lavorando con le mani e aggiungere via via poca acqua per volta fino a ottenere una pasta molto liscia, compatta ed elastica. Lasciarla riposare sotto una ciotola di terracotta sulla spianatoia stessa.




Mondare le erbette e tagliarle fini, gambi compresi; lavarle bene e sistemarle in una padella larga con un poco di olio e pochissima acqua. Stufare senza aggiungere altra acqua. Lasciar raffreddare.

Lavare la patata e lessarla con la buccia. Sbucciarla mentre è ancora bollente, quindi lasciarla raffreddare.

Grattugiare il formaggio con la grattugia a denti larghi. Tenerne un pochino da parte per guarnire il piatto.

Sistemare su un grande tagliere le erbette e la patata. Sminuzzare bene il tutto utilizzando un coltello pesante, poi trasferire in una ciotola. Non serve aggiungere sale, perché a insaporire ci penserà il formaggio di capra.

Tritare grossolanamente i gherigli delle noci con il medesimo coltello. Sbucciare uno spicchio d’aglio, tagliarlo in due e schiacciare le due metà. Trasferire il tutto in un pentolino con una grossa noce di burro e un cucchiaio d’olio. Far scaldare a fuoco dolcissimo, spegnere e chiudere con un coperchio affinché l’aglio rilasci tutto il suo profumo.

Riprendere la pasta e tirarla in un’unica grande sfoglia con il matterello. Se preferite potete usare la macchinetta tirasfoglia e ricavare diverse strisce di pasta. L’importante è che non sia troppo sottile, perché i ravioli sono grandi e rischiano di rompersi in cottura.

Ricavare delle forme tonde di circa 8 centimetri di diametro: devono essere almeno 24.

Sistemare un mucchietto di farcia su ogni tondo di pasta, aggiungere il formaggio di capra grattugiato, quindi chiudere ogni raviolo a mezzaluna. La pasta deve aderire bene, quindi è meglio procedere bagnandosi via via le dita con un po’ di acqua. Man mano che i ravioli sono pronti adagiarli su un tagliere o un piatto cosparso di semola.

Far bollire abbondante acqua salata e cuocervi i ravioli per circa 8 minuti. Nel frattempo riscaldare le noci eliminando lo spicchio d’aglio e aggiungendo un cucchiaio o due di acqua di cottura dei ravioli.



Sistemare sei ravioli per ogni piatto, condire con un cucchiaio di trito di noci e aggiungere un pochino di formaggio grattugiato.

Servire subito.




La bellezza del fagiolo di Sorso in un piatto unico



In Sardegna, come ho già detto in un post precedente, le varietà di fagiolo sono moltissime.
I fagioli provenienti dal Nuovo Mondo, ovvero quelli del genere Phaseolus, sono arrivati sull’isola tramite gli Spagnoli nel XVI secolo.

Come un po’ ovunque nel Mediterraneo, per un certo periodo si sono affiancati alle varietà già presenti provenienti da Mesopotamia e Africa, ovvero quelli del genere Vigna; in seguito sono diventati i più diffusi, perché più produttivi, più veloci nella crescita e maggiormente nutrienti a parità di peso o volume. Fortunatamente i Vigna si sono dimostrati tenaci e oggi possiamo ancora gustare cicerchie, piselli, ceci e lenticchie!

Il fatto poi che i fagioli siano sempre stati una coltivazione da orto più che da campo aperto - perché hanno bisogno di acqua, di sostegni, di alternanza ombra-sole e perché crescono meglio se piantati vicini ad altre piante come patate o zucche - ha sicuramente aumentato la possibilità che si accentuasse la biodiversità. Le varietà si sono moltiplicate, diventando “tipiche” di una manciata di orti e campicelli, del territorio di uno e due paesi.

L’elenco dei fagioli sardi è lungo: i nomi sono bellissimi e molto evocativi, le dimensioni sono generalmente ridotte. Uno dei più originali è un fagiolino piccino caratteristico degli orti di Sorso, vicino Sassari. Si chiama fasgioru mascharaddu (mi perdonino i sorsesi; so che ci sono altre varianti nella grafia del nome) ed è davvero elegantissimo nel suo vestitino black&white! E ha anche un sapore ottimo.




L’amico Nino, ottimo cuoco ed esperto sommelier, sapendo di farmi cosa graditissima me ne ha regalato un sacchettino. Dopo aver passato un’intera mattinata a fotografarli, ho deciso di metterli a bagno e di trasformarli in un piatto unico.


Per due persone (piatto unico):

250 g di fagiolini mascherati di Sorso secchi
sedano, carota, cipolla, due pomodorini per il brodo

250 g di salsiccia di carne di pecora aromatizzata con aglio ed erbe
150 g di verza rossa

1 spicchio d’aglio
olio extravergine di oliva
sale, pepe



Se sono secchi, i fagioli di Sorso vanno messi a bagno almeno 24 ore prima dell’uso. In acqua fredda, in una ciotola chiusa possibilmente con pellicola per alimenti. Non crescono molto di volume, ma usate comunque una ciotola di dimensioni adeguate.

Cuocere i fagioli in acqua con una costa di sedano, una carota, due guaine di cipolla, due pomodorini finché non saranno ben cotti: ci vorrà circa un’ora a fuoco dolce.

Scolare i fagioli, recuperare le verdure. Frullare le verdure nel bicchiere del mixer alla massima velocità, aggiungendo uno spicchio d’aglio e due cucchiai d’olio.

Affettare la verza sottilissima, lavarla bene, quindi stufarla in una padellina con un cucchiaio d’olio e poca acqua (controllare e mescolare spesso e, se occorre, aggiungere acqua). Spegnare quando la verza sarà cotta, ma ancora compatta.

Tagliare il budello della salsiccia e sgranare la polpa, trasferirla in una padella ampia e, senza aggiungere alcun condimento, cuocerla fino a che non sarà ben dorata. All’ultimo momento aggiungere i fagioli tenuti da parte.

Riprendere la pentola utilizzata per i fagioli, versarvi la crema di verdure e aglio, aggiungere qualche mestolo di acqua bollente e lasciar sobbollire per una decina di minuti. Quindi aggiungere i fagioli, tenendone da parte due cucchiai. Far scaldare, quindi utilizzare un frullino a immersione e ridurre i fagioli in crema. Se preferite un risultato più fine utilizzate un passaverdura; io ho preferito un crema “rustica”. Aggiustare di sale e pepe, tenendo presente che la salsiccia di pecora è molto saporita.



Versare metà della crema di fagioli in ogni piatto, aggiungere metà della verza e metà della carne di pecora con i fagioli interi.

Servire immediatamente.



2009 – 2016: sette anni nella rete con il conforto di una torta


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Cinque mi erano sembrati tanti; sei sono stati un traguardo.
Essere arrivata a sette mi rende felice. Sette anni di blog non sono pochi, sono oltre la media, sono sette anni di ricette e fotografie, di post e consigli. E posso dire di essere invecchiata... ops! cresciuta con un certo stile: il mio.



Un anno fa scrivevo: La ricetta funziona solo se si ha l'accortezza di usare alcuni strumenti fondamentali: coerenza, impegno quotidiano, desiderio di migliorare, passione, studio continuo, gusto per il bello e per il buono, aggiornamento, ricerca sul campo.

I risultati possono non essere immediatamente soddisfacenti; l'importante però è provare e riprovare perché con la pratica ogni ricetta riesce sempre meglio e, soprattutto, cercare un confronto costruttivo e non inutilmente competitivo cercando di imparare da chi ha maggiore esperienza”.

Sono ancora perfettamente d’accordo con me stessa, quindi oggi mi auguro buon compleanno con questa torta che, posso dire con orgoglio, è tutta farina (semola, veramente) del mio sacco. Rustica e spiccatamente autunnale.

Per una tortiera da 20 centimetri

200 g di semola rimacina di grano duro varietà Cappelli
200 g di zucchero di canna grezzo
150 g di yogurt di capra fresco
3 uova medie
50 g di farina di castagne
50 g di nocciole sgusciate, tostate e sbucciate
50 g di burro
50 g di olio extravergine di oliva
30 g di cacao amaro dal commercio equo&solidale
1 bustina di lievito per torte
1 pizzicone di sale



Portare il forno a 180° in modalità non ventilato; imburrare e infarinare una tortiera da 20 centimetri dai bordi alti.

Mescolare le farine con il cacao e il lievito; aggiungere un pizzicone di sale fino.

Sciogliere il burro a bagnomaria, riportarlo a temperatura ambiente, quindi unirlo a olio e yogurt mescolando bene.

Macinare le nocciole precedentemente tostate in modo abbastanza grossolano: ovvero senza ridurle in farina. Io ho utilizzato delle ottime nocciole sarde di Tiana (Nuoro), che ho acquistato intere. Le ho sgusciate (in effetti qualcuno le ha sgusciate per me: grazie, tesoro!), le ho adagiate sulla placca del forno e tostate per meno di dieci minuti a 160°; quindi le ho strofinate con un canovaccio per togliere la pellicina. Ora le conservo in un barattolo a chiusura ermetica.

Rompere le uova in una grande ciotola, aggiungere lo zucchero e lavorare con una frusta elettrica a bassa velocità fino ad avere una massa chiara e spumosa; sollevando la frusta deve scendere un “nastro” di composto, non un “filo”.

Unire la miscela di burro, olio e yogurt e, lavorando ancora con la frusta, amalgamare bene.

Unire le nocciole.

Da questo momento utilizzare una spatola in silicone. Aggiungere la miscela di farine e cacao, setacciandola man mano, un cucchiaio per volta. Lavorare lentamente e ottenere una massa liscia e abbastanza asciutta.

Versare nella tortiera e cuocere per 40 minuti a 180°. Abbassare la temperatura a 150° e cuocere ancora 10 minuti.

Controllare la cottura con uno stecchino, che deve uscire asciutto dal centro della torta. Aprire il forno, attendere ancora dieci minuti, quindi estrarre la torta, sformarla e farla raffreddare direttamente sul piatto di portata. 


Bucatini viola al sesamo



La città è azzurra di cielo e gialla di sole oggi. È l’8 dicembre, ma pare al massimo ottobre. Una certa animazione per le strade; mercatini, bancarelle, negozi addobbati, ma decisamente l’atmosfera rimane poco natalizia. 
Il sole invoglia la gente a fermarsi a scambiare due chiacchiere; tutti sappiamo che ci rivedremo almeno altre dieci volte prima delle feste perché la città è piccola e tutti passiamo almeno una volta al giorno per la piazza principale, per le stesse vie del centro, per i medesimi negozi, ma non possiamo fare a meno di salutarci, di farci gli auguri “nel caso non ci vedessimo più” (prima di Natale, ovviamente).
Nessuno, malgrado il tempo per gli acquisti natalizi stringa, ha particolarmente fretta e, ovviamente, si fa tardi per il pranzo. Il bello di vivere qui è questo! E, comunque, anche con poco tempo e veramente pochissimi ingredienti un piatto di pasta si fa sempre in tempo a prepararlo.



Per due persone

150 g di bucatini
1 cespo di radicchio
1 mozzarella da 100 g
qualche noce
semi di sesamo
un pezzetto di cipolla
1 spicchio d’aglio
olio extravergine di oliva
sale e pepe

Mondare l’aglio e la cipolla e tritarli alla massima velocità nel vaso del mixer aggiungendo due cucchiai d’olio. Versare il tutto in una padella e, appena comincerà a scaldarsi, aggiungere il radicchio mondato, lavato e spezzettato. Cuocere a fuoco dolce finché il radicchio sia morbidissimo, quindi rimettere tutto nel vaso del mixer, azionare a scatti e ottenere una bella crema viola scuro. Riversarla nella padella aggiustando di sale e pepe.

Nel frattempo far bollire l’acqua salata per la pasta. Sgusciare le noci, sminuzzare i gherigli e farli tostare a fiamma vivace per qualche minuto, insieme a un paio di cucchiai di semi di sesamo. Scolare la mozzarella e ridurla a dadini.



Cuocere i bucatini al dente, prelevarli e gettarli, con un po’ di acqua di cottura, nella padella con la crema di radicchio, mescolare bene facendo insaporire.

Sistemare la pasta nei piatti, completare con i dadini di mozzarella e una spolverata di noci e sesamo tostati. Servire immediatamente.

Lorighittas e antunna, ma soprattutto le lorighittas



La ricetta di oggi è quanto di più semplice si possa immaginare. Di particolare c’è la pasta: le lorighittas di Morgongiori. Sulle quali mi fa piacere scrivere due parole.

Se si considera che lóriga in sardo è l’anello (il gioiello, ma anche quello di ferro, infisso nel muro per legare il cavallo); lórigas sono gli orecchini e lórighittas sono i viticci... beh, è facile capire perché questa varietà di pasta si chiama così. E il nome poetico non è la sola sua particolarità: la rende unica anche il fatto che – per tradizione consolidata – si produce in un solo, piccolo paese della provincia di Oristano: Morgongiori, nella zona della Marmilla.

Infatti sas lorighittas non sono come gli gnocchetti, che, in mille varianti di forma e dimensione, sono “tipici” di moltissimi paesi dell’isola, ma sono piuttosto come sos andarinos, altro formato di pasta originale e piuttosto complicato da fare, che è caratteristico di Usini (Sassari).

Non esistono lorighittas fatte “a macchina”: per farle servono tre dita e un’abilità che si acquisisce con il tempo e che, a dir la verità, comincio a pensare sia proprio una questione di DNA. Io, infatti, malgrado i tentativi, ho ottenuto solo risultati mediocri.

Dopo aver fatto una pasta perfetta con semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale (in alcune famiglie si aggiungono anche le uova), si ricavano tanti fili sottili che si devono avvolgere per due volte su indice, anulare e medio di una mano chiudendoli poi ad anello. La chiusura va fissata con il pollice. Ovviamente ci si mette molto di più a dirlo che a farlo. Basta saperlo fare...

In ogni caso, una volta fatte, le lorighittas devono riposare e seccare stese in cesti e coperte da panni leggeri. Non sono permesse altre modalità di essicazione. Per condirle poi si va dal semplice sugo di pomodoro e pecorino, allo stufato di galletto, fino a robustissimi intingoli a base di cinghiale o maiale adulto. Tutti ottimi.

Come avrete capito, io le lorighittas le compero già fatte tutte le volte che le trovo; nelle piccole botteghe, durante le feste di paese o durante la festa annuale che le celebra nella loro Morgongiori. E le condisco come mi detta l’ispirazione; con gli asparagi; con i fagioli, al ragù...

Le lorighittas di oggi sono ai funghi antunna. Nella foto le vedete ambientate su un bellissimo runner (azzurro) e su uno strofinaccio (color lino naturale), che escono entrambi dalle abili mani dell’amica Elena, tessitrice in Samugheo (Oristano). Se volete dare un’occhiata ad altri suoi lavori e avere qualche informazione in più aprite questo post dello scorso anno.





Per due persone:

500 g circa di funghi antunna freschi e interi (in cottura si riducono molto)
150 g di lorighittas
2 spicchi d’aglio
2 cucchiai di yogurt
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 cucchiaio di Fiore sardo grattugiato fine
prezzemolo fresco da tritare al momento
sale e pepe bianco

Pulire i funghi con una pezzuola, eliminare la parte finale del gambo e sciacquarli velocemente, quindi ridurli in pezzi regolari.

Mettere a bollire l’acqua salata per la pasta.

In una padella larga (io ho usato un wok) scaldare l’olio con gli spicchi d’aglio tritati fini o lasciati interi e leggermente schiacciati, se li volete eliminare. Gettarvi i funghi e cuocerli mescolando continuamente. Non serve molto tempo. In ultimo aggiungere il prezzemolo fresco, tritato con la mezzaluna al momento, e aggiustare di sale e pepe.



Gettare la pasta nell’acqua, cuocerla per circa 10 minuti (ma è meglio assaggiare, come sempre per la pasta artigianale), quindi trasferirla con un mestolo forato nella padella con i funghi, aggiungere lo yogurt, il Fiore sardo e, se servisse, un po’ della sua acqua di cottura, mescolare bene e servire immediatamente.