Risotto con muggine, sedano e Vermentino

 
In questo piatto c’è proprio la giusta armonia: la “mia” tradizione” del risotto e ingredienti tutti sardi. Il riso, che è coltivato, lavorato e confezionato in Sardegna e che personalmente apprezzo moltissimo. Il muggine, che è un altro prodotto di quell’angolo di Sardegna tutto particolare che è la laguna di Cabras e che viene affumicato artigianalmente in loco. Il Vermentino, che è un vino tipico dell’isola (nelle sue varianti Vermentino di Gallura Docg e Vermentino
di Sardegna Doc) e che, nell’ampia gamma delle sue sfumature, può essere felicemente abbinato con moltissime ricette.



Per due persone:

140 g di riso varietà Carnaroli*
1 l di brodo vegetale
1 gambo di sedano verde
muggine affumicato a piacere
¼ di cipolla bianca
Vermentino
olio extravergine di oliva
burro fresco
sale e pepe
fiori di finocchietto per decorazione

Se non avete del brodo già pronto, procedete a prepararlo con acqua, sedano, carota e cipolla a pezzettoni e un pomodoro fresco intero, più pochissimo sale. Poi filtratelo.

Tritare la cipolla.
Mondare il sedano e ridurlo in una dadolata fine. Lessarlo in poca acqua leggermente salata per cinque minuti dal bollore, quindi scolarlo e tenerlo da parte.

Eliminare la pelle dal muggine e ridurre la polpa a pezzetti (in quantità e dimensione dei pezzetti a piacere).

In una pentola dal fondo spesso sciogliere una piccola noce di burro, aggiungere un cucchiaio d’olio e poi la cipolla. Aggiungere il sedano e far appassire le verdure a fuoco dolce, quindi gettare il riso alzando la fiamma. Farlo tostare per alcuni minuti, quindi bagnare con metà del vino.

Ricoprire di brodo bollente (andrà mantenuto bollente per tutto il tempo così che, aggiungendolo, non si interrompa la cottura del riso) e cuocere per circa 10 minuti. Aggiungere il muggine e il resto del vino e portare a cottura (assaggiate!).

Allontanare la pentola dal fuoco e unire una piccola noce di burro, aggiustare di sale e pepe, mescolare bene e versare nei piatti. Spolverizzare con fiori di finocchietto secchi sbriciolandoli tra le dita.

* ho utilizzato il Carnarolis di Risoristano, azienda di San Vero Milis, in provincia di Oristano




Losanna, Lausanne, Losena e il mercato

 
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Sto andando a nord e capito a Losanna (Lausanne e in arpitano Losena; città svizzera, capitale del Canton Vaud affacciata sul lago Lemàno, o di Ginevra) la mattina in cui c’è il bellissimo “mercato del contadino” settimanale!
Parecchie decine di bancarelle disposte lungo un percorso pedonale di per sé molto elegante, che offrono frutta, fiori, verdure, spezie, formaggi, pane e dolci fatti in casa.
Uno spettacolo che una luminosa giornata d’autunno non può che rendere ancora più bello.







Molti espositori sono coltivatori diretti e propongono le poche varietà di ortaggi o frutta autoprodotte sistemate in modo fantasioso e accattivante in cesti e cassette di legno. Il signore che mi ha venduto due chili delle mie prugne preferite mi ha spiegato come e dove conservarle e ha voluto sapere se avevo intenzione di farne marmellate; quando gli ho detto che avrei fatto un chutney quasi mi abbracciava, tutto contento!






Poi ci sono i produttori di formaggi che sciorinano orgogliosi i prodotti del latte (Etivaz e Vacherin in testa) delle loro mandrie o greggi allevate sugli ordinatissimi pascoli locali.

Chi fa il pane racconta come quella specifica quantità o varietà di lievito madre dia vita a quello specifico profumo e sapore di filoni e pagnotte. E il profumo è effettivamente meraviglioso.




Chi vende fiori compone mazzi coloratissimi e li avvolge in carte, nastri e spaghi in modo così delizioso; meglio della più raffinata delle boutique.







Non manca il tocco esotico: un ragazzo insiste perché assaggi una bevanda allo zenzero che coltiva in una serra riscaldata nel proprio giardino; mentre un altro, nordafricano, illustra gli aromi delle spezie che vende sia in ordinati barattoli trasparenti (per gli svizzeri), sia sciolte e pesate al momento (per gli altri, dice ammiccando).





E per rimanere sul classico non si può evitare una degustazione al volo dei vini della regione. Eh, sì, forse non tutti sanno che nel Vaud il vino si fa, eccome! Non per nulla dal 2007 i vigneti di Lavaux (811 ettari tra Losanna e Chinon) sono iscritti nel patrimonio mondiale dell'UNESCO.






Se non dovessi viaggiare giuro che comprerei tutto!



Una crostata di fichi... anzi due!

 
Ecco la ricetta per la crostata di fichi.

Dunque: c’è la confettura preparata nei giorni scorsi, una manciata di fichi freschi (rigorosamente raccolti in campagna, perché si sa che quelli “rubati” son più buoni di quelli comprati) e una nuova ricetta per la pasta frolla che mi piace moltissimo.

Forse anche perché ho usato uova speciali; quelle delle galline allevate all’aperto e con molto amore dagli amici Patrizia e Gian Luca.

La quantità di pasta che si ricava dagli ingredienti indicati è sufficiente per preparare una crostata grande da 28 centimetri e una piccola da 20. Ebbene sì, ne ho preparate due per avere più fette da condividere con gli amici! 

Ovviamente potete utilizzare una quantità minore di ingredienti, facendo attenzione a mantenere le proporzioni.

400 g di farina di grano tenero 00
150 g di burro fresco
150 g di zucchero a velo
3 uova
2 pizzichi di sale

2 biscotti tipo savoiardi
1 vasetto di marmellata di fichi da 250 g
fichi freschi sufficienti a coprire la superficie della/e crostate (il peso dipende dalle dimensioni)

+ burro e farina per le tortiere



Il mio consiglio è di preparare la pasta frolla con molto anticipo; possibilmente la sera per utilizzarla la mattina dopo.

Setacciare insieme la farina e lo zucchero su un piano di marmo. Unire il sale e il burro morbido a pezzetti piccoli e lavorare con le dita per intridere bene la farina di burro. Unire le uova leggermente battute e lavorare velocemente per ottenere una pasta omogenea. Formare una palla, avvolgerla in pellicola per alimenti e conservarla in frigorifero.

Mondare i fichi freschi senza eliminare la buccia e tagliarli a pezzi irregolari (se preferite potete invece tagliarli a spicchi omogenei per avere un risultato più “ordinato”; io preferisco un certo “disordine”).


Imburrare e infarinare una (o più) tortiera di ceramica e accendere il forno a 180°.

Sbriciolare molto finemente i biscotti.

Stendere la pasta su un foglio di carta da forno. Rigirare il foglio sopra la tortiera, far aderire bene, quindi eliminare il foglio, eliminare gli eccessi di pasta e procedere a pizzicare o decorare il bordo.

Bucherellare il fondo con una forchetta, cospargere la superficie di briciole di biscotto e poi di marmellata (solo un velo), quindi disporre i fichi fino a coprire tutta la superficie della torta.

Infornare e cuocere per 30 minuti esatti senza mai aprire il forno.
Servire direttamente nella tortiera.




Spettinati, ma buoni. I mandorli di Baressa

 

La Sardegna è la terza regione italiana produttrice di mandorle dopo Puglia e Sicilia. Sono circa tremilacinquecento gli ettari piantumati a mandorli; alberi antichi che abitano le terre del Mediterraneo praticamente da sempre e che caratterizzano il paesaggio con le loro chiome spettinate.

Ai primi avvisi di primavera si coprono di fiori tanto delicati quanto sfacciati che si trasformano presto in frutti ingannevoli: uno strato vellutato che invita alla carezza, che nasconde una scorza dura e impegnativa che però, una volta superata, rivela finalmente un cuore buono.

E le mandorle buone lo sono per davvero; non solo per il palato, ma per l’organismo in generale perché, tra le tante proprietà, sono un’ottima fonte di vitamina E.



E… poi: come potremmo fare a meno delle mandorle per i nostri dolci? Amaretti, torrone, gueffus, sospiri, gattò, copulette solo per citarne alcuni.

Se un mandorlo o due si trovano da tempi immemori in ogni appezzamento di terreno, la coltivazione a scopo commerciale iniziò sull’isola solo all’inizio del ‘900, ma declinò nel giro di un cinquantennio. Troppo lavoro per una resa non sempre soddisfacente.

Oggi i mandorleti, nei quali si trovano - salvo eccezioni - le varietà Cossu, Olla e Schina de porcu sono quasi esclusivamente nella parte sud dell’isola.

Baressa (Oristano), comune della Marmilla, è conosciuto come “il paese dei mandorleti” e qui la produzione è incoraggiata e sostenuta; a oggi si contano circa cento ettari coltivati e una Sagra della Mandorla che mira a far conoscere a un pubblico più vasto possibile le bellezze del paese (poche, ma belle davvero), le ottime mandorle e i favolosi dolcetti che le vedono protagoniste.



Non potevo lasciarmi scappare l’occasione per fare scorta per tutto l’inverno: mi son portata a casa diversi chili di prelibati frutti che non tarderò a utilizzare in cucina e non solo per i dolci.

Ma non solo: Baressa è anche orti, frantoi, scorci caratteristici e cortili. Quindi ho fatto scorpacciata d’aglio e meloni di settembre e ho scattato moltissime foto; insomma una domenica proficua.





Calamari e cus cus: piatto di fine estate



Polpi, seppie e calamari mi danno molta soddisfazione in cucina. Li cucino seguendo l’ispirazione del momento e la disponibilità di ingredienti in dispensa, anche perché il mio pescatore (dilettante) di fiducia non sa in anticipo cosa tirerà in barca...

Questa volta ho tolto dal mio cilindro culinario un piatto unico per due persone semplicissimo da cucinare, profumato di mare e di (fine) estate.

1 kg di calamari già puliti (sacche e tentacoli)
2 spicchi d’aglio
prezzemolo fresco
1 bicchierino di Malvasia

120 g di cus cus precotto

2 gambi di sedano più alcune foglie fresche
1/2 cipolla rossa
1 manciata di pomodorini datterini maturi
1 barattolo da 400 g di polpa di pomodoro a pezzetti di ottima qualità
finocchietto secco

olio extravergine di oliva
sale



Tagliare i calamari a pezzetti piuttosto piccoli (non si useranno coltelli a tavola), tritare l’aglio e il prezzemolo fresco separatamente.
In una padella larga e bassa scaldare un po’ di olio con l‘aglio, gettarvi i calamari e farli saltare per un paio di minuti. Bagnare con la Malvasia, coprire con un coperchio e lasciar cuocere su fuoco dolcissimo. Non aggiungere sale.

Tritare grossolanamente il sedano e la cipolla e, separatamente, anche i pomodori freschi. In una casseruola scaldare dell’olio, unire dapprima la cipolla e il sedano, poi i pomodori freschi e, infine, i pomodori in barattolo. Cuocere a fuoco dolce salando solo il minimo indispensabile.

Procedere alla cottura del cus cus precotto come indicato sulla confezione. Io consiglio di unire un piccola noce di burro all’acqua bollente leggermente salata che si usa per prepararlo.



Quando il sugo sarà pronto unire il finocchietto sbriciolato e mescolare.

Quando i calamari saranno pronti (devono essere morbidissimi) aggiungere il prezzemolo tritato.

Disporre cus cus, calamari e sugo di pomodoro in un grande piatto da portata: ognuno mescolerà a suo piacere.




Non solo in Valtellina, quindi... Il Bue rosso del Montiferru e la bresaola


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I bovini di razza Sardo-Modicana (per gli amici Bue rosso), sono animali semiselvaggi o, meglio, poco socievoli e amanti della tranquillità dei loro pascoli. 

Sono animali vigorosi, forti, derivati dall’incrocio - coronato dal successo alla fine dell’Ottocento - di animali indigeni sardi con esemplari di ceppo podolico e di razza Modicana. 


I pascoli sono quelli del Montiferru, dove vivaci distese di erbe spontanee e scure pietre laviche compongono un paesaggio splendido, in particolare in primavera. Il Montiferru è compreso nella provincia di Oristano e nasconde, nel suo cuore più profondo, un cono vulcanico spento da millenni. 

Il Presidio Slow Food nato per valorizzare questa razza particolare inizia il suo percorso nel 2002, alla nascita del Consorzio di allevatori di Bue Rosso. Il Consorzio, attraverso accordi con i macellai e una campagna di informazione dei consumatori di tutta l’isola, oggi propone carne, latte e derivati di entrambi di alta qualità e molto apprezzati.  

Il disciplinare del Presidio prescrive che i vitellini siano allattati dalla madre sino alla fine naturale dello svezzamento e che poi si nutrano all’aperto di erbe spontanee.
Prima della macellazione è previsto un periodo di finissaggio: ovvero gli animali sono ingrassati in stalla per circa due mesi secondo una regola che esclude insilati, mangimi di origine animale e qualsiasi cibo che possa contenere Ogm. In genere vengono macellati capi tra i 18 e i 25 mesi; le vacche invece continuano a produrre latte più a lungo; latte che si trasforma in ottimo casizolu, il caratteristico formaggio a pasta filata a forma di (grossa, anche grossissima) pera. 


Oltre alle succulente bistecche e agli altri tagli, adatti più o meno per ogni preparazione, la carne di Bue rosso diventa anche un’ottima bresaola. Dalla punta d’anca o dal magatello dei bovini si produce anche qui nel cuore del Montiferru – oltre che nella lontana Valtellina - quest’ottimo “salume crudo” avvolto in budello. Quello che vedete nella foto (bello, vero?) è un recente acquisto presso la Macelleria Sassu di Bonarcado






Una Macelleria con la maiuscola, dove la gentilezza e la professionalità si sposano con una pulizia e un ordine perfetti e con una scelta di carni di produzione propria davvero fantastica (per noi carnivori è un piccolo paradiso, non me ne vogliano troppo coloro che - per i più svariati e seri motivi – hanno escluso la carne dalla loro dieta).

La bresaola di Sassu sarà il coronamento di una splendida gita, perché una gita Bonarcado la merita! 

La meravigliosa chiesa romanica di Santa Maria è imperdibile. Consacrata nel 1146 o 47 come chiesa principale di un monastero Camaldolese esistente e fiorente (allevamenti e coltivazioni... vi dice niente?) fin dai primissimi anni del XII secolo, venne costruita sopra un insediamento nuragico, cui si sovrappose un villaggio romano. 

Lo stesso toponimo Bonarcado deriva dalla chiesa intitolata alla Vergine panàkhrantos e risale all'epoca bizantina. Il santuario medesimo pare insista sopra un edificio termale tardoromano. E a questo è facile credere, perché sul sagrato della chiesa ci sono fontane e il battistero ospita un’antica vasca mosaicata. 



Insomma, quando ci si offre la possibilità di coniugare la cultura e l’ammirazione del bello con la soddisfazione del gusto: lasciar perdere sarebbe imperdonabile.