Za'atar mon amour! Finalmente il mio mix perfetto

 

La mia storia con lo za’atar è cominciata a cinquant’anni. I miei, ovviamente. Ora filiamo d’amore e d’accordo da anni. La mia cucina quotidiana si è profumata e impreziosita e, ultimamente, ho raggiunto un bel traguardo: preparo da sola con grande soddisfazione il mio mix-za’atar perfetto.

 


Intanto la parola. Za’atar indica in arabo prevalentemente il timo, ma anche l’origano, la maggiorana, l’issopo. In effetti sono queste tutte piante aromatiche della medesima famiglia, quella delle lamiacee, che crescono spontanee in tutto il bacino del Mediterraneo su terreni poveri, anche sabbiosi e rocciosi, sopportando altissime temperature. 

 

Le quattro piante tendono a produrre varietà ibride, tanto che le caratteristiche delle foglie (più o meno strette, più o meno coriacee, più o meno pelosette, di colore più o meno scuro) sono talmente simili da renderle indistinguibili a un primo esame. La confusione tra origano e maggiorana è comunissima: mi è capitato di vedere le piantine vive etichettate al contrario persino in un vivaio e, più volte, al mercato ho visto mazzi di “origano siciliano” che erano sicuramente di maggiorana. 

 

Anche le proprietà medicinali, disinfettanti, antiossidanti, fluidificanti – conosciute fin dalla notte dei tempi – e l’alto contenuto di fosforo, magnesio, potassio e fenoli sono praticamente identiche. Si capisce quindi come la parola za’atar abbia, nel tempo, assunto un significato così… ampio.

 

Delineati i contorni botanico-linguistici (un po’ all’ingrosso, è vero, ma non siamo né botanici, né linguisti, ma semplici appassionati), lo za’atar concretamente cosa (anche) è? Una miscela di erbe essiccate sesamo e sale. Oltre al timo la miscela comprende infatti, in parti variabili, le altre due o tre erbe citate, semi di sesamo tostati e parzialmente tritati, sommacco e poco sale. 

 

Ed è uno dei capisaldi della cultura palestinese. Diciamo che è un elemento identitario; lo za’atar si sparge sopra il pollo, lo yogurt, il labneh, l’hummus, le verdure cotte e le insalate; mescolato all’olio si usa per bagnare il pane come spuntino e street food. Il suo profumo caratteristico è, insomma, onnipresente e strettamente correlato alla cucina della Palestina, intesa come regione del Vicino Oriente che si affaccia a ovest sul Mar Mediterraneo. 

 

Ovviamente, per vicinanza geografica se non culturale, lo za’atar è diffusissimo anche nella cucina tradizionale libanese e armena, nella moderna cucina israeliana e di altri paesi vicini, così come è conosciuto in Nord Africa. 

 

Chi ha la fortuna di raccogliere da sé le erbe allo stato selvatico può comporre la propria "miscela za’atar" aggiungendo poi sommacco, che, in genere si acquista già macinato, i semi di sesamo e quanto sale preferisce. 

 

Il sommacco (Rhus Coriaria) è una pianta della famiglia delle Anacardiacee, come l’anacardo, il pistacchio e il mango; i frutti sono delle piccole drupe rosso scuro, che fresche possono essere tossiche e che quindi vengono essiccate e macinate. La polvere di sommacco (sumac, sumak) utilizzata in cucina ha grandi proprietà antiossidanti, antiinfiammatorie, astringenti, antibatteriche. Il sapore è acidulo, ma non aspro, e ricorda vagamente la scorza di limone; il colore è un vivace rosso cardinale molto persistente, che non si altera nemmeno in cottura. 

 

Il sesamo (Sesamum indicum) è una pianta della famiglia delle Pedaliacee originaria, come dice il nome, dell’India, ma largamente presente anche in Africa fin da tempi remotissimi. È una pianta annuale come il basilico al quale, in effetti, somiglia parecchio, con foglie verdissime e fiorellini bianchi, che produce molti semi. I semi sono l’unica parte edibile della pianta.

 

Detto questo è facile intuire che lo za’atar è in realtà gli za’atar. Un po’ come accade per il ras el hanout, il baharat, il garam masala e il curry, il berberè e altre miscele di erbe e spezie ne esistono molte varianti: quelle casalinghe, appunto, e quelle in vendita nei mercati, nelle erboristerie, nei negozi di alimentari e, oggi, on line. 

 

Il “mio za’atar”, dopo varie prove di prodotti già pronti durate anni, è finalmente il frutto casalingo di un gusto ormai affinato sul sapore e sul profumo. Prevale il timo, ma il sommacco si deve sentire (amo i sapori acidi). L’uso è ormai praticamente quotidiano su piatti freddi o caldi – due uova al tegamino passano da veloce ricetta di sopravvivenza (o comfort food, ve lo concedo) a “piatto interessante”; una insalata di carote un po’ scialbe e legnose risorge a nuova vita e potrei fare un’altra dozzina di esempi, ma credo abbiate capito cosa intendo.

 


E una ciotolina con il nostro ottimo olio extravergine di oliva sardo e un cucchiaino di za’atar diventa un irresistibile condimento per il pinzimonio o anche solo per intingere il pane. L’immediata dipendenza è inevitabile.


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